giovedì 25 febbraio 2010

L'Australia, terra di possibilità o "Quando trovare un lavoro è più semplice di trovare casa e altre storie"


Vabbè, forse ho esagerato. Non ho trovato propriamente un lavoro. Ma partiamo dall'inizio.
Nella mia disperata ricerca di un tetto, ho utilizzato per lo più un sito che si chiama Gumtree, cugino oceanico del nostro Kiijii (o come diavolo si scrive). Come sicuramente alcuni di voi sapranno, questi siti sono un gran calderone di annunci, che vanno dalla vendita di automobili, agli incontri di persone, passando probabilmente per la vendita illegale di organi. L'altro giorno, cazzeggiando su questo sito, ho notato un'inserzione di una ragazza spagnola che si rendeva disponibile per dare lezioni della lingua di Cervantes. Detto fatto. Ho copiaincollato il suo annuncio, sostituito Spanish con Italian, messo un bel tricolore sventolante come immagine, et voilà: eccomi entrare nel magico mondo delle lezioni di lingua italiana in terra straniera.
Non riponevo molta fiducia nel mio annuncio creato nella bellezza di due minuti esatti. Fino a quando, ieri sera, il giovane John Shaw non mi chiama per un aiuto per il suo esame di italiano. Cazzo figata! non avevo ancora trovato una casa, ma avevo trovato una piccola fonte di reddito!
Stasera prima lezione. Il signor Shaw mi ha caricato sulla sua Audi nera (immagine non proprio idilliaca, lo ammetto), mi ha portato a casa e mi ha lasciato un paio d'ore con James. Il tutto per 55 dollari, tre spiedini succulenti, due bicchieri di vino rosso da una bottiglia con tappo a vite e un invito per passare il weekend nella casa di campagna della famiglia Shaw. Non male per una discussione in italiano sulla vacanza preferita o la casa ideale.

Ad ogni modo, ho anche trovato casa. Old South Head Road 91, Bondi Junction. La densità di popolazione della casa è pari di quella di un condominio giapponese (ci sono 25 persone! no, dico: 25!), però è la meno peggio di quelle che ho visto. Ai posteri l'ardua sentenza.

Infine, sembra che la persona nella foto qui in basso abbia fatto richiesta per un visto turistico per il periodo delle vacanze di Pasqua. La domanda è: se voi foste le autorità doganali australiane preposte al rilascio dei visti, glielo concedereste?

Sensazioni o "Kings Cross e altre storie"


Gli aborigeni ubriachi che chiedono l’elemosina senza troppa convinzione. I negozi per adulti. L’ingannevole Park Street, che ti permette di arrivare se vieni dal centro, seguendo il cartellone della Coca Cola come fosse una stella cometa. Ingannevole perchè il cartellone sembra vicino, ma la strada da fare è ancora lunga e tutta in salita. Il cartellone luminoso della Coca Cola, un banale muro pubblicitario divenuto il simbolo di un quartiere prima e di una città poi. I transessuali che ti fanno l’occhiolino. I buttafuori degli strip club che ti cercano di convincere a dare un’occhiata alla mercanzia esposta. Le signore di mezza età alla ricerca di una one-night-stand. Le notti insonni per via del chiasso proveniente dalla strada nelle mie notti al Globe Hostel. Lo stesso Globe Hostel, che non vincerebbe mai un premio per la sua pulizia. Le mie poco socievoli coinquline francesi e il loro viaggiare l’Australia con il trolley-packing. Gli insetti nella cucina. Il lavandino della stanza incapace di trattenere l’acqua. La totale assenza di privacy. Il mancare l’assenza di privacy quando ci si ritrova in camera soli. Il rotolone di sushi in sconto in metropolitana con la soia che non è mai abbastanza. I volti che si vedono nelle vie. Volti tumefatti, volti spenti, volti accesi, volti artificialmente accesi, volti stanchi, volti curiosi, volti ingannevoli, volti sconsolati, volti arroganti. I francesi, che sono ovunque. Il suo unico McDonald, con una connessione così lenta che ti costringe a rifugiarti in un internet café. Il suo essere anacronistico come una canzone di Bon Jovi degli anni 80, quando aveva ancora i capelli cotonati. Il rischiare di sentire per davvero una canzone di Bon Jovi degli anni 80.

Forse non ci sono ancora entrato totalmente dentro, ma di sicuro mi mancherà Kings Cross quando non abiterò più qui.
Anche perchè, "many Sydney 'identities' who chose artistic and creative lives above money making have lived on this strip of Darlinghurst Road".

Chi non viene sul blog diventera' un aborigeno ubriaco!

domenica 21 febbraio 2010

La ricerca della casa o "Sconfitto da un banker di Citigroup, Quasimodo e altre storie"

I posteri ricorderanno che, prima di centinaia di serate australiane dove andò a letto con il sole già alto, il vostro eroe trascorse un tranquillo primo sabato sera australiano, con sprofondamento nel materasso alle 23.30. Ma non temete, ci sarà tempo di rifarsi.

Nonostante la mia breve uscita, ho potuto constatare di come le teenager australiane abbiano scelto, quasi all’umanità, la Julia Roberts di Pretty Woman come icona di stile, prima però del suo incontro con Richard Gere.
Nella foto qui sotto ho provato a mostrare la decadenza dei costumi occidentali, in un normale sabato sera di Kings Cross. La foto è la migliore di quelle che sono riuscito a fare, perchè nonostante il baricentro basso, la protagonista della foto zampettava abbastanza velocemente.
Spero sia di vostro gradimento.



La zona del mio nuovo ostello è una delle più movimentate di Sydney da quanto mi pare di capire. La Lonely Planet lo definisce grunge. Finora non ho ancora visto niente che mi ricordi Kurt Cobain, ma di sicuro Kings Cross di sera fornisce una buona collezione di diversi tipi sociali. Oltre alle mignotte e ai papponi dei diversi strip club della via, vi sono infatti teenager ubriachi, vecchi, i cui polmoni hanno visto giorni migliori, fare l’elemosina, immancabili backpacker con sandali e zainone, tamarri che sgommano con la macchina truccata, hippy di tutte le età che suonano la chitarra sul lato della strada, cinquantenni in uscita per mangiare un gelato e presumibilmente qualche pusher.
Il nuovo ostello è anche un po’ più zozzo di quello precedente (mi sono trasferito ieri) ma i coinquilini sono simpatici e ti fanno venire voglia di partire con lo zaino in spalla.

Ma arriviamo al discorso casa.
Prima di tutto, non l’ho ancora trovata.
Le case che ho visto finora sono di due tipi: quelle dove più che la Lamuchina, per disinfettare servirebbe la fiamma ossidrica; e quelle che per affittare devi superare lo scoglio delle interviste. Perchè qui dovete sapere che quando più persone sono interessate alla stessa stanza, il proprietario li raduna in visita tutti alla stessa ora per vedere chi potrebbe essere il più adatto.
Ieri, per esempio, sono andato a vedere una stanza in una casa con tre californiane (so che questo spingerebbe molti di voi a venire a trovarmi, ma vi anticipo subito che non ce l’ho fatta!). Tutti gli interessati, prima di poter vedere la casa, venivano bersagliati da una serie di domande per vedere quale candidato rispondesse nel miglior modo alle esigenze delle inquiline. Io, nonostante abbia subito decantato le mie doti nella nobile arte dei fornelli e del ferro da stiro (!!!), sono stato sconfitto da un banker di Citi, che prometteva preziosi consigli per investimenti sicuri. La storia quindi si ripete: in questo mondo ingiusto il saper maneggiare swap e futures conta di più che saper preparare un delizioso piatto di spaghetti all’amatriciana.
Delle case della prima categoria (quelle della fiamma ossidrica per intendersi), una ha superato ogni livello immaginabile. La persona con cui avevo parlato al telefono mi aveva detto che non sarebbe potuto essere in casa, ma di non preoccuparmi, in quanto se avessi bussato alla porta, qualcuno mi sarebbe venuto ad aprire. Arrivo a destinazione e già una cosa mi sorprende: non ho bisogno di bussare alcuna porta in quanto questa è spalancata. Metto il naso dentro, provo a chiamare qualcuno, suono il campanello, ma niente. Al che, spazientito, stavo già pensando di andarmene quando da dietro spunta uno strano figuro, con la camminata che ricordava il gobbo di Notre Dame, solo che decisamente più brutto ed inquietante del Quasimodo della Disney. Quasy (nome di fantasia) mi invita quindi a seguirlo sul retro, perchè l’entrata è lì. Il vostro eroe, dribblando cani, mosche ed altre amenità come il Ronaldo dei tempi d’oro, riesce finalmente a farsi largo ed entrare nella “casa” (il virgolettato è per indicare che la definizione di “casa” non è certo la più appropriata). Avevo già deciso che non sarei mai andato a vivere lì, ma, dopo tutta la strada che avevo fatto, andarmene senza vedere la ragione del mio peregrinare non rappresentava una possibilità. Si scopre quindi che Quasy era un pittore e aveva adibito il piano terra della “casa” a atelier. Ma la parte più interessante, dal punto di vista della fauna batterica, era probabilmente la stanza che avrei dovuto affittare. So che può sembrarvi esagerato, ma quella stanza, come luce, sporcizia e anche un po’ per l’abitante, mi ricordava tantissimo quella di Seven, quando Brad Pitt e Morgan Freeman trovano uno che era rimasto legato al letto e torturato per mesi. Do you remember? Togliete le sevizie e la finta pioggia hollywoodiana alla finestra, e ci siete quasi. In questa stanza completamente buia e dove non si riusciva a vedere il pavimento per via di tutto ciò che vi era sopra, all’improvviso spunta una tipo collassato non si capisce dove da dietro una tendina che mi saluta con un grugno. “Well, thank you man, I’ll call you back!”
Qui sotto vi metto la foto dell’entrata della casa, ma vi garantisco che non è niente rispetto a quanto visto in seguito.

Un’altra casa, diciamo pittoresca, era con una hippy di mezza età, con dei parenti di Lucca, con la stanza che puzzava di cibo di gatto. Vabbè.
Oggi pomeriggio ho visto una casa che potrebbe andare bene, a metà tra l’università e le spiagge, e dove vivono due trentenni. Mi faranno sapere domani, finger crossed.
Nel caso non andasse nemmeno questa, lunedì andrò in agenzia e mi affiderò alle mani di un broker immobiliare dall’alito al mentolo.

Stare in ostello nel frattempo non è così male. L’unico fastidio è non poter aprire le valigie e sistemare le cose, ma per il resto è anche divertente. Le persone che sono qui hanno tutte una storia da raccontare. L’ultimo con cui ho chiacchierato un po’ è un ingegnere argentino che sta viaggiando da un anno e mezzo con fidanzata al seguito, tra Nuova Zelanda, Asia e Australia. Ora partiva per andare a Melbourne a lavorare presso un giostraio itinerante, ma tornerà a Sydney con il suo Luna Park verso aprile. Ci siamo scambiati le mail, non si sa mai. Il mondo è piccolo. E non avevo ancora nessun aggancio a Buenos Aires.

Vi lascio con la solita conclusione per farvi un po’ rosicare. Ho fatto il primo bagno nel Pacifico ieri a Bondi Beach. Più che il bagno, ho condotto una battaglia impari contro le poco pacifiche onde dell’oceano. Capisci anche perchè hanno inventato il surf: è l’unica maniera con la quale l’uomo può tentare di sconfiggere la forza del mare senza ricorrere a grandi barche (è vero anche che, almeno tra i principianti che ho visto oggi, il mare ha spesso la meglio).
Sono stato solo poche ore a Bondi, ma penso di aver capito la ragione del suo successo mondiale. La spiaggia è indubbiamente molto bella, ma non è certo la migliore al mondo. Persino i surfisti più seri tendono a snobbarla un po’, lasciando le sue onde ad essere cavalcate da europei alle prime armi. Ma c’è una cosa che ti colpisce immediatamente. Praticamente nessuno tra le centinaia di bagnanti ha più di 30 anni. É una sterminata spiaggia con sabbia finissima piena di giovani di tutto il mondo. Awesome!

Tenete le dita incrociate per la mia ricerca.

Chi non viene sul blog andrà a vivere con Quasy!

PS. Alla minimaratona di Verona di domani tifate tutti il corridore col pettorale 4380!

venerdì 19 febbraio 2010

Primi giorni a Sydney o "Finora si surfa solo il web e altre storie"

Well, stavolta sarò più breve. Qualche parola sui miei primi giorni sydneyani (se qualcuno sa l’aggettivo corretto è pregato di comunicarlo).
Al momento sono sprofondato in un divano di pelle, bevendo una birra autoctona dal sapore fruttato, perchè sono in anticipo ad un appuntamento per vedere una stanza.
Ma partiamo dall’inizio.

La prima cosa che ho visto di Sydney non la immaginerete mai.
Andare dall’altra parte del mondo, fare circa 20 ore di volo e trovarsi davanti una gigantografia della fontana di Trevi non ha prezzo.
Subito dopo aver lasciato i bagagli in ostello, ho fatto l’unica cosa che mi avrebbe reso sicuro di essere arrivato a Sydney: andare a vedere l’Opera House. É un po’ come quando vai a Parigi, puoi andare a vedere Notre Dame, l’Arc du Triomphe e Monte Matre, ma finchè non hai visto la Tour Eiffel non ti rendi conto davvero di essere a Parigi. Avevo già premeditato un bell’autoscatto con Opera House sullo sfondo e tanto di birra al seguito. Problema: non l’ho trovata. Avevo una cartina un po’ sfigata e mi sono accorto solo dopo 30 minuti di cammino che stavo andando nella direzione sbagliata. No pasa nada, appuntamento con la storia solo rinviato.
Ma la mia prima notte australiana mi aveva riservato un’altra sorpresa. Ero nell’atrio dell’ostello surfando il web, quando sento invocare con italico accento il mio nome. Della serie “il mondo è piccolo”, ecco la risposta alla mia domanda “chi sarà la prima persona che avrò visto in entrambi gli emisferi?”. Dal DES, con furore, Stefania Germinario, di passaggio a Sydney prima di tornare nella più tropicale Brisbane. El mundo es un pañuelo.

So che vi state già immaginando il vostro beniamino cavalcando le onde del Pacifico, ma dovrò (ahimè!) riportarvi down to earth. Per adesso posso solo darvi degli interessanti consigli, nel caso voleste affittare una casa nella capitale del New South Wales. Per adesso le mie ricerche non sono state molto proficue, ma non temete, come tutte le belle storie, anche questa avrà il suo happy ending.

Ieri sera c’è stata una crociera nella baia di Sydney al tramonto. So che avete visto milioni di volte l’immagine dell’Opera House e dell’Harbour Bridge baciati dall’ultima luce del sole prima dell’imbrunire. Ma dal vivo è una di quelle cose che ti fa restare in silenzio per qualche secondo con un sorriso un po’ rincretinito in volto.

Vi lascio per ora con questa immagine.
Ora vado a vedere la casa.

Chi non viene sul blog vedrà solo il ponte dei Navigli a Milano.

Stay tuned.

mercoledì 17 febbraio 2010

Ah comunque...

...sono arrivato!

martedì 16 febbraio 2010

The sweetest first Asia appetizer

E rieccomi, appena decollato dal Changi Airport e diretto verso sud-est. Non so ancora se l’aereo abbia superato o meno l’Equatore, ma se non l’ha ancora fatto, poco ci manca.
Questi giorni a Singapore non avrebbero potuto essere migliori per avere quel primo piccolo assaggio di Asia che ti lascia in bocca la voglia di tornare per assaporarne la sua parte più profonda. Sicuramente Singapore non può essere paragonabile agli altri paesi del sud-est asiatico, visto che la sua precisione ed efficienza avrebbero pochi eguali anche in Europa.
D’altro canto, nonostante l’influenza occidentale sia evidente, l’anima profondamente asiatica di questo paese emerge in ogni cosa. La ritrovi nelle tradizioni e nelle usanze delle persone, nel cibo, nelle bevande, nell’educazione, nei tempi dei discorsi, nella frenesia dei movimenti; tutto ciò non può non attirare l’attenzione di chiunque, come me, era alla sua prima esperienza in questo continente.
Prima però di parlare però dei miei giorni singaporiani (questo è l’aggettivo scelto dal correttore automatico, io preferico singaporegni, de gustibus), volevo spendere una parola per il magico Denzyllo. Sicuramente, se i miei primi giorni asiatici sono andati così bene, lo devo in gran parte a lui e alla sua famiglia. Denzyl mi ha portato in giro ovunque per farmi vedere le diverse zone della città. L’idea che una persona si fa di una città dipende molto da chi te la mostra; se ho apprezzato tanto questi giorni il merito è indubbiamente suo.
Sia lui che il resto della sua famiglia cercavano di farmi assaggiare ogni volta diversi piatti locali. Nella mia ignoranza europea ero convinto di mangiare sempre involtini primavera, invece non ho mai ripetuto una volta la stessa pietanza e non ho mai avuto problemi a terminare quello che avevo davanti. (Per chiunque fosse preoccupato che Andrew mi avesse infettato, non temete, anche se così fosse stato tutto il chili che ho mangiato ha sicuramente ammazzato tutti i batteri). Insomma, quello che dicono sull’ospitalità orientale è confermato.

C’è tanto da imparare da questo ex villaggio paludoso di pescatori divenuto la capitale finanziaria dell’Asia e il secondo porto al mondo. Nonostante la crescita rapida e vertiginosa, sono ben distanti però dal volersi adagiare sugli allori. La voglia di mettersi in gioco, di continuare a migliorare, di non accontentarsi dell’innegabile successo economico si ritrovano in diversi aspetti della vita sociale del paese. Si vedono nelle decine di cantieri pubblici per costruire strade (già di un’ampiezza impensabile per gli standard delle città europee), ponti ed altri edifici pubblici. Si vedono nelle dozzine di giardinieri costantemente impegnati a curare i parchi pubblici, dove l’erba non è mai più alta di quella che si vede nei campi di golf e dove ogni piantina ha il suo bastone di sostegno. Si vedono nella pulizia delle strade (si dice che vengano lavate col sapone) e degli altri luoghi pubblici. Si vedono nei cartelli per la città recitanti “low crime doesn’t mean no crime”, che, per un paese il cui tasso di criminalità è probabilente secondo solo al Vaticano, appare incredibile. Si vedono nell’attenzione nel rispettare le tradizioni religiose delle diverse popolazioni che vivono nel paese, come per i cartelli che raccomandano di non avvicinare al cibo malese (in quanto musulmano) i bastoncini cinesi (quindi impuri perchè a contatto con carne di maiale).
Noi (inteso come italiani, ma forse anche come europei) da tempo ormai non riusciamo a rinnovarci e tornare ad essere un punto di riferimento per l’economia mondiale, anche perchè continuiamo a fissarci l’ombelico ripentendoci che come noi non c’è nessuno. Forse dovremmo avere un po’ più di umiltà e prendere esempio da paesi come Singapore, che, nonostante sia il paese con il più alto tasso di milionari nella popolazione, non rinuncia a continuare a mettersi in gioco, per non perdere la posizione da primato duramente conquistata.

Ma ora bando alle ciance. So che vi interessa sapere cosa ha combinato il vostro beniamino in questi giorni, so here we go.

Giorno 1 oppure “Il pranzo del Sultano del Brunei e altre storie”
Arrivato finalmente a Singa (è stata durissima alla fine separarsi da Andrew), compilato il form per l’immigrazione che ricorda che il possesso di droga è punito con la morte (ah sì dimenticavo a Singapore non sono molto liberali), tolto l’inutile giubbino di pelle, ecco finalmente Denzyllo, con tanto di fratello Darryllo al seguito, a prendermi in aeroporto.
Appena si esce per strada la prima cosa che non mi aspettavo: vi sono alberi e giardini ovunque. Avete presente quegli alberi che si vedono sempre nei documentari sulla savana? Esatto. Ma sono dappertutto. Nemmeno in pieno centro si riesce a trovare una via che non sia piena di alberi e siepi. Probabilmente, se non fosse così verde, questa città dove la temperatura non scende mai sotto i 25° e le macchine sono ovunque, sarebbe invivibile. In ogni caso, è stata una bella sorpresa.
Per prima cosa, Denzyl è andato dal dottore a farsi fare un certificato medico per non dover andare in caserma finché io ero lì (è stato bello vedere come queste cose funzionino anche nella perfetta Singapore). Dopodichè, a mangiare.
A detta degli abitanti stessi, visto che la città non offre queste grandi distrazioni, una delle attività preferite dalla gente è andare a mangiare. In più punti della città sono dislocati i cosidetti food centre, strutture dove sono presenti diversi punti di ristoro con i tavoli in comune, in modo che la gente può prendere da mangiare da più venditori. Il primo pranzo singaporiano si è svolto in uno di questi centri.
Per continuare il “bella vita lifestyle”, Denzyl mi ha subito fatto fare una degustazione di diverse pietanze alle quali le mie papille gustative di certo non erano abitutate. Tra queste ve n’era una che si dice sia talmente amata dal Sultano del Brunei, che questi a volte manda un aereo a Singapore solo per procurarsela, e lo fa esattamente dove l’abbiamo mangiata noi.
Nel resto della giornata ho fatto il turista tra il distretto finanziario e Chinatown, anche se totalmente rincoglionito dal fuso orario.

Giorno 2 oppure “Il Flaming Lamborghini e altre storie”
Il secondo giorno è sicuramente stato il più pieno. Durante la giornata scorpacciata di templi, che in Italia non si trovano spesso, dalle moschee, ai templi buddisti e hindu. Da quando da piccolo leggevo le storie della mitologia greca, ho sempre trovato le religioni politeiste più simpatiche di quelle monoteiste. Entrare in questi tempietti cinesi pieni di diverse divinità dalle più svariate forme ed espressioni è stato un po’ come quando da bambino leggevo le varie peripezie di Zeus e compagni.

Ma è stata la notte che ha riservato le maggiori emozioni.
Prima di tutto cena di famiglia per il compleanno di uno zio di Denzyl. Tavolata abbastanza sessista con da una parte tutti gli uomini e dall’altra donne e bambini. Tutti mi hanno accolto molto calorosamente, facendo subito battute sul Padrino per farmi sentire più a mio agio. L’accostamento italiano-mafia viene sempre automatico, anche se alcuni miei interlocutori erano abbastanza stupiti nello scoprire che la mafia esiste ancora. Altri invece avevano letto Gomorra e mi hanno chiesto informazioni su Saviano (non preoccupatevi comunque, non solo le notizie sulla mafia italiana sono arrivate a Singapore: anche le avventure del Papi erano ben note).
Una cosa divertente degli asiatici, almeno di quelli che ho avuto modo di conoscere, è che sembrano incapaci di non ridere a voce alta. Trovarsi nel mezzo di questa tavolata di singaporiani sghignazzanti ha ricordato molto le patrie cene di famiglie, dove la cagnara la fa da padrone. La cena si è conclusa con un rituale cinese di buona fortuna, consistente nel mescolare tutti insieme un piatto con diverse verdure tritate. Potete vedere il video qui sotto.

(IL VIDEO LO METTERO' PIù TARDI)


Dopo cena siamo andati a prendere Jolene, la ragazza di Denzyl a casa sua. Il padre di lei è stato giocatore ed allenatore della nazionale di basket di Singapore, quindi abbiamo subito trovato un argomento di discussione. Anche qui sono stato accolto splendidamente, tanto che ho lasciato la casa con due arance (che nel linguaggio non verbale cinese rapprensentano un gesto di cortesia e buon augurio, ma solo se in numero pari); ma soprattutto con una divisa di basket della squadra allenata ora dal padre di Jolene. Semplicemente magnifici. Sono curioso di vedere come sarà andare all’allenamento della Martesana basket con la divisa dei New City. In ogni caso, la custodirò gelosamente.

Ed infine, the big night. Location: the Butter Factory, a due passi dal Merlion, la statua più famosa di Singapore.
Un avvertimento: se andate a far baldoria in questi lidi, siate preparati, perchè una delle attività preferite dai giovani autoctoni consiste nello “sbronza lo straniero”. Visto che sentivo sulle spalle il peso di rappresentare la mia nazione, ho dato il meglio di me, ottenendo feedback positivi (i commenti principali la mattina seguente erano sul tema “he’s a soldier”, equivalente al nostrano “ci sta dentro”).
Nel video che posto sotto potete ammirare il vostro eroe alle prese con quello che è considerato il vero banco di prova: il Flaming Lamborghini. Le fiamme c’erano. Più che su di una Lamborghini, dopo un po’ sembrava di essere sulle montagne russe.




Giorno 3 o “Allegre chiacchierate in sauna con rubicondi laureati al MIT e altre storie”
Come ci insegnano fin da quando siamo bambini, “di notte leoni, di mattina...”
L’ultimo giorno di questo anno del bue è stato il più classico dei giorni post-sbornia. Sveglia tardi, pasto frugale, cazzeggio pomeridiano. Dopo pranzo infatti siamo andati a svernare in piscina con annessa sauna (fare una sauna finlandese a 100km dall’equatore è la prima cosa che non avrei mai pensato mi sarebbe successa a Singapore ed invece è successa; la seconda è stata bere un Negroni qui: mitico Denzyl!). In sauna c’era questo professore che dopo averci intrattenuto con un discorso sull’importanza della greed, che ricordava molto il famoso monologo di Gordon Gekko, ci ha spiegato come mai Singapore ha bisogno del nucleare. Vabbé.
La sera cenone di capodanno in famiglia e poi, dopo più di anni, incontro con Steve, la cellula indonesiana dell’ITT, e la sua nuova fluente capigliatura. De puta madre broder!


Giorno 4 o “Il capodanno cinese è un investimento privo di rischio e altre storie”.
Singapore certamente mi ha arricchito sotto molti profili, sia dal punto di vista umano, che dal punto di vista del peso, in quanto in questi ho mangiato come se non ci fosse un domani. Però ora vi faccio rosicare un poco. Perchè uno dei modi in cui questo paese mi ha arricchito è stato anche dal punto di vista economico. In primo luogo perchè Denzyl e la sua famiglia mi hanno quasi sempre impedito (anche fisicamente) di pagare la cuenta. Ma non è qui il punto.
Infatti, la tradizione cinese vuole che, all’inizio del nuovo anno, le coppie sposate diano una busta con dei soldi alle persone non sposate. Io pensavo chiaramente questa usanza fosse limitata ai membri della famiglia, fino a quando non ho iniziato a ricevere anch’io buste da tutti i parenti in visita. All’inizio ho provato timidamente a rifiutare, spiegando loro che mi faceva sentire un po’ in colpa ricevere soldi per essere ospitato; poi mi hanno spiegato che non dovevo preoccuparmi, in quanto la tradizione vuole così. Così ogni volta che zie e prozie mi davano la loro benedizione monetaria per il nuovo anno, sentivo dietro il padre di Denzyl che sganasciava di gusto nel vedere la scena.
A sera, tra buste e bustine, ho contato circa 100 dollari di Singapore, dividete per due e ottenete il mio profitto in termini del patrio conio. Mica male per aver dovuto semplicemente dire “Happy New Year” con un italico sorriso in viso!
Durante la giornata sono arrivati quindi in visita un paio di dozzine di parenti. Ho scoperto anche che una delle attività principali di questa giornata è il gioco d’azzardo in famiglia. L’aspetto più sorprendente, però, è la rapidità con cui giocano a carte. Sono abituato a vedere partite di poker, dove i contendenti restano tutto il tempo seduti ed in religioso silenzio. I ritmi e la frenesia di queste partite invece ricordavano più la velocità del gioco delle tre carte che il Texas Hold ‘Em. Anche perchè i partecipanti erano mezzi in piedi, urlanti e sghignazzanti.

In questi giorni sono sempre stato con persone di etnia cinese. C’è però una grande differenza tra la generazione di Denzyl e quella di suo padre. I cinquantenni sono per lo più singaporiani di seconda generazione, ma sono ancora strettamente legati alle usanze e ai costumi cinesi. Parlano della storia della Cina con orgoglio; parlano tra di loro dialetti cinesi; anche quando si riconoscono singaporiani, sembra quasi che considerino la Cina come la loro vera madre patria. La generazione di Denzyl, invece, sia nei costumi che nei modi di fare, è molto più occidentalizzata. Anche se frequantano per lo più ragazzi dello stesso ceppo etnico, si considerano singaporiani e anzi guardano con un po’ di diffidenza i “cinesi” ultimi arrivati.
É interessante vedere come vanno le cose in un paese dove la convivenza di diverse etnie è una realtà già da molti decenni. Chissà come saranno le cose da noi tra qualche decennio. Di certo, per quanto riguarda il rispetto reciproco, Singapore ha molto da insegnarci.
However, Buon Anno della Tigre a todos!

Giorno 5 o “Il wrestling degli indiani in spiaggia e altre storie”
La mattinata dell’ultimo giorno in Asia sono andato, con Denzyllo e Esteve, sull’isola di Sentosa, che sarebbe ipoteticamente il luogo dove sono concentrate le spiagge di Singapore. Uso il condizionale in quanto, più che un centro balneare, ricorda più un parco divertimenti. Inoltre, la spiaggia artificiale con la sabbia importata dall’Indonesia e con tanto di isola finta, creata per nascondere le petroliere e le navi container del vicino porto, difficilmente trasformeranno questa isoletta nella futura Phuket. Ma, probabilmente, nemmeno in una Riccione asiatica. Nonostante ciò, forse perchè era giorno di vacanza, la spiaggia era affollatissima.
La cosa più buffa era vedere questi gruppi di ragazzi indiani fare la lotta per gioco. Inizialmente pensavamo fosse in corso una lite, ma quando abbiamo inizato a vedere più gruppi che si menavano per trascorrere una piacevole mattinata, abbiamo rivisto le nostre posizioni.
Nel pomeriggio poi giro in centro con annessa salita sul grattacielo più alto della città, per le foto di rito allo skyline. Serata nostalgia, bevendo birra neo zelandese e ricordando i tempi di Maastricht.

¡Más o menos es todos, chicos! Ormai l’aereo sta entrando nel New South Wales e tra un’oretta inizia la vera avventura nel down under. Spero di avervi trasmesso la voglia di considerare Singapore se non una meta di vacanza, per lo meno un buon punto di partenza, dove trascorrere alcuni giorni prima di partire in esplorazione per il Sud-Est asiatico.
Dall’Asia è tutto. Il monitor davanti a me dice che ad Istanbul albeggia e ad Honolulu stanno bevendo un mojito vedendo il sole affondare nel Pacifico. Sayonara!

Chi non viene sul blog sarà KO dopo un Flaming Lamborghini!

domenica 14 febbraio 2010

Io e il piccolo Andrew (non fatevi ingannare da questo visino apparentemente angelico, in realtà in questo bambino si nasconde un freddo e spietato calcolatore)


La mia prima alba asiatica

venerdì 12 febbraio 2010

Incipit

Buenos dias a todos!
Benvenuti nel blog Rocking Down Under, che mi accompagnerà nei prossimi 5 mesi che trascorrerò in quel di Sydney e si spegnerà subito dopo con un eroico harakiri.
Innanzitutto, una breve precisazione: questo blog non ha alcuna velleità letteraria, ma vuole solo narrare le epiche avventure del sottoscritto in questi futuri mesi nel down under.
Vista la comunicazione resa più problematica dal fuso orario e la mia proverbiale pigrizia nell'alzare la cornetta per farmi sentire, ho pensato che la soluzione blog fosse la migliore per chi volesse essere al corrente di quello che mi accade tra canguri e ragni velenosi.
A dir la verità, ho sempre pensato che chi scrive i blog finché è in viaggio in realtà non si sta divertendo come cerca di far trasparire, perché se così fosse non passerebbe tanto tempo davanti al computer. Perciò la frequenza dei miei post saranno un indicatore indiretto della mia vera situazione, con un intervallo compreso tra un post al giorno (da leggersi: Cernusco sul Naviglio è meglio di Sydney) a una morte prematura del blog per mancanza di tempo per scrivere (da leggersi, con un fastidioso accento milanese: Fìga, Questa Australia ci sta dentro di brutto!!). Ciononostante, prometto che mi impegnerò per aggiornare con una certa regolarità il RDU (i.e. Rocking Down Under; da buon bocconiano, dopo poche righe inizio già a creare acronimi come se piovesse).

Bene.
Ora iniziamo.


La fase pre-partenza, ovvero la tinca col tanga e altre storie

Anche se sono 10 mesi che so che dovrò partire per Sydney, non sono arrivato per niente preparato psicologicamente alla partenza. Sarà che fino al 2 febbraio sono stato costretto a studiare (bye bye Economici di base), sarà che poi è arrivata Maggie a trovarmi, ma fatto sta che fino a quando l’aereo non è partito, non mi sono reso conto esattamente cosa stavo per iniziare. Questo è anche il motivo per il quale ho risposto sempre abbastanza apaticamente a chi mi chiedeva se fossi nervoso.
Gli ultimi giorni patri sono trascorsi nel migliore e più dolce dei modi, con una pacifica invasione da parte di una persona dalla regione che diede i natali ai più spietati conquistadores.
Inoltre, in questi giorni è stata creata, da due menti sicuramente instabili, l’immagine di un nuovo animale mitologico, pronto a collocarsi direttamente tra Cerbero e il Minotauro. Ladies and gentlemen, la RDU production è orgogliosa di annunciare ufficialmente la nascita (rullo di tamburi o, se siete più disneyani, Circle of Life in sottofondo) della Tinca col Tanga. Sembra questa sia nata da un rapporto non protetto tra il pesce Flubber del film La Sirenetta e la dea della caccia Artemide, rendendo perciò questa nuova creatura dotata di poteri taumaturgici in grado di sconfiggere l’acne, l’alitosi e altre piaghe del mondo moderno.
Vabbé sto divagando, ma sono in aereo (quasi sopra il Mar Caspio) e non ho un cacchio da fare, ergo vi rendo partecipi delle mie elucubrazioni mentali.
Ad ogni modo, questa divagazione mitologica era per spiegare che gli ultimi giorni italici sono andati alla grande.

Ora assumete uno sguardo più accigliato che si torna a parlare di cose serie.
Una delle poche cose che ho notato prima di partire è che sarò presto il membro della mia famiglia che si sarà allontanato maggiormente dalla città di Romeo e Giulietta. Supererò anche mio nonno che, nonostante abbia girato il mondo, al massimo si è spinto in Indonesia. (Sono sicuro anche che, tra tutti quelli che mi hanno detto che avrebbero voluto venire con me, lui era quello che sarebbe venuto più volentieri).
Lo spirito con cui affronto questo secondo scambio è assolutamente diverso però da quello che avevo prima di andare a Maastricht. Lì avevo voglia di staccare un po’ da una vita milanese che non stava andando a gonfie vele. Penso si possa dire che vi sono riuscito. Quella era anche la mia prima esperienza all’estero con tutto quello che ne deriva. Ora le cose sono parecchio diverse. In generale va tutto benone, sia per quanto riguarda l’università che per quanto riguarda gli affetti. Sono però gli ultimi mesi della mia gaudente vita studentesca e perciò è anche l’ultima possibilità per fare un’esperienza simile. Voglio perciò vivere al massimo questi mesi australiani, visto che la pacchia is nearly over.
Spero che sia diversa però da Maastricht e non perchè in Olanda non mi sia divertito, ma perchè non voglio ripetere la stessa esperienza. Vorrei che Sydney fosse meno “Erasmus” e più altro: più la scoperta di un paese diverso da quelli che ho visitato finora; più individuale e meno collettivo, anche perchè non credo si possa ricreare un gruppo paragonabile a quello di Maastricht; più maturo anche per certi versi, perchè parto con la consapevolezza di quello che c’è a casa.

Ora smetto di tediarvi con queste fregnacce introspettive e torno ad essere lo scanzonato storyteller di sempre.


La partenza o “Andrew, il baro malato e altre storie”
Prima cosa: quando i chilometri che mi separavano da casa non erano ancora arrivati ad essere in tripla cifra mi sono accorto di aver dimenticato l’iPod a casa: cazzo, cazzo, cazzo. In tutti i viaggi Milano-Verona non l’avevo mai dimenticato a casa. Avevo persino sistemato la cuffietta e pulito il cavetto con l’alcol (sì, era così zozzo!). Vabbè, pazienza, vorrà dire che in questi mesi ascolterò solo il fischio del vento, il fragore delle onde, (deviazione poetica che non mi si addice per niente, lo so) e il richiamo dei koala in calore (recupero in fretta il tono linguistico che più mi appartiene).
Dopo il saluto ai parents e alla sister in quel di Malpensa (hasta luego, family) e un paio d’ore di attesa nell’unico hub internazionale sprovvisto di wi-fi, finalmente a bordo della Singapore Airlines.
I primi passi nell’aereo sono stati di forte impatto: sedili enormi e super cuscinosi che sembravano gli sdrai dei bagni più cool di Forte dei Marmi. Non ho fatto tempo ad esaltarmi al pensiero della gran dormita che avrei fatto, quando ho capito che mi trovavo in Business Class (sigh!). Comunque, anche se non ricordano la Lunigiana, anche i sedili dell’Economy costituiscono un netto miglioramento nella qualità della vita per uno abituato a viaggiare su Ryanair.
La divisa delle hostess è un’altra cosa che ti sorprende all’inizio: niente minigonne e camicette, ma un vestito con un tema floreale, che ti sbatte subito in faccia l’essenza orientale della compagnia. Penso che questo voler associare un’efficienza ed una precisione occidentale ad una raffinatezza ed attenzione ai dettagli più tipicamente orientale, sia una caratteristica di Singapore. Vedremo se le mie sensazioni verranno confermate.
Appena arrivato al mio posto mi sono comportato un po’ come un bambino con un nuovo gioco: ero impaziente di vedere cosa offriva lo schermo che avevo davanti, volevo leggere i quotidiani che consegnavano sull’aereo (la Repubblica, el Pais e the Straits Times, quotidiano singaporiano), volevo iniziare a scrivere per il blog, etc etc.
Alla fine invece sono finito a giocare a scacchi con Andrew, il mio vicino taiwanese di 10 anni. In una non esattamente classica Italia-Taiwan a scacchi, Andrew se l’è cavata bene per la sua età, fino a quando non si è inventato una regola un po’ strampalata per evitare che mi pappassi la sua torre secessionista. La partita è stata poi sospesa per l’arrivo del pranzo (mi sono ripromesso di mangiare tante cose nuove in questo viaggio e ho già iniziato con dei non troppo esotici broccoletti bolliti), ma vi terrò aggiornati sul proseguo dell’incontro.
Come recita il titolo, Andrew è anche malaticcio: spero non mi attacchi niente.

Ho potuto constatare la qualità della preparazione delle hostess quando, alla mia prima visita alla toilette, ho inavvertitamente premuto il tasto per chiamare aiuto al posto dello sciacquone. Non ho fatto nemmeno tempo ad abbottonarmi, che hanno iniziato a bussare alla porta con insistenza, al che ho aperto con un sorriso del tipo scusate-ma-non-sono-solito-urinare-in-voli-intercontinentali-e-faccio-ancora-un-po’-di-confusione-coi-tasti.

C’è una sola cosa che ancora mi sfugge. Capisco perfettamente la funzione dei vari cuscini, coperte, spazzolini che ci sono stati consegnati, ma...perché ci danno dei calzini? Sono ancora troppo poco dentro il mood orientale per capirlo. Ho ipotizzato che è per evitare che la gente giri scalza nell’aereo (come per l’appunto sta facendo il mitico Andrew).

Nella cineteca dell’aereo ho scelto di vedere Amreeka: parla anch’esso di un viaggio, però verso ovest, dalla Palestina agli Stati Uniti. Il film è carino, spero però di avere meno problemi ad ambientarmi in Australia di quanti ne ha avuti la protagonista negli States.

Questo post è stato scritto per metà tra il Mar Nero e il Turkmenistan e per metà in mezzo all’Oceano Indiano. Nemmeno il mio più celebre omonimo ha attraversato tanti paesi quando ha scritto, rigorosamente on the road, il bestseller De Bello Gallico.
Ora il computer di fronte al mio schermo dice che mancano 2 ore e mezza all’atterraggio, quindi vedo di schiacciare un pisolino, altrimenti domani sarò distrutto.

Non preoccupatevi che non mi dilungherò più così a lungo, però dovevo trovare un modo per riempire tutte queste ore di volo.

Chi non legge perderà a scacchi con Andrew.

PS. Alla fine Andrew con le sue regole discutibili mi ha sconfitto. Ridete pure, lo merito. D’accordo che non sarò un campione di scacchi, ma lui era così concentrato che non ha mai alzato gli occhi dalla scacchiera. Comunque, quando Andrew sarà ribattezzato “la risposta taiwanese a Kasparov” qualcuno gli ricordi che l’inizio della sua carriera è viziato da una palese opera di baro.