RDU sarà assente per le prossime due settimane. Motivo: far fronte all'invasione verde, blanco y negra.
Buona Pasqua a tutti.
lunedì 29 marzo 2010
venerdì 26 marzo 2010
Il secondo miracolo di St. Patrick o "Goodbye sofa e altre storie"
E venne il giorno di St. Patrick.
Dopo questo giorno la Casa (la c maiuscola è un modo per far rendere meglio le dimensioni della stessa) non sarebbe stata più la stessa.
Io avevo lezione fino alle 9. Ciò significa che quando io stavo chiudendo l'astuccio, erano già tre ore che i miei coinquilini ci davano dentro con il goon, il parente più prossimo del Tavernello in Australia. Esatto. Vino nel cartone. O meglio, in un sacchetto di plastica all'interno di una scatola di cartone. Qui sembra non ci possa essere una festa senza l'immancabile goon.
Ma andiamo avanti.
Dopo l'università, raggiungo i miei molteplici coinquilini in un pub pieno di gente vestita di verde, perchè siamo tutti un po' più irlandesi oggi. Qui si balla e si sbevazza un altro po', finchè verso le 2 la festa non si trasferisce a Casa.
Tolti quelli che si sono ritirati nelle rispettive stanze per fini riproduttivi, i restanti hanno continuato a fare baldoria nel salotto. Però c'è un finchè. Finchè infatti un cileno non ha ben deciso di emulare il Bill Murray di Ghostbuster, giocando con l'estintore nel suddetto salotto, rendendolo inagibile. (Tra l'altro, scena bellissima: in un salotto con la visibilità limitata a causa della polvere dell'estintore, solo una figura emergeva dalla nebbia: un francesce sbronzo che, come se non stesse succedendo niente, continuava stoicamente a preparare il suo narghilè della buonanotte). Vabbè direte. Festa un po' più movimentata del solito, ma niente di che.
Ma il bello è successo a festa terminata. La mattina dopo infatti, quando già nella casa la parola hangover aveva iniziato a rieccheggiare, il padrone di casa è arrivato e, senza proferire parola con nessuno, ha segato il salotto a metà. Letteralmente. Ha iniziato con i divani e ha concluso in bellezza col tavolino. Poi ha caricato le carcasse dei divani nel furgone e ci ha lasciato il salotto vuoto.
Dopo un breve momento di sconforto, la Casa ha reagito.
Alcuni dei miei coinqulini, decisi a ripristinare l'amato luogo di aggregazione, hanno girato per le strade del quartiere a cercare divani e poltrone destinati alla discarica. Et voilà. Ecco un salotto nuovo di zecca. L'aspetto più inquietante è che i mobili trovati per strada erano molto più belli (e più puliti) di quelli pre-St. Patrick. Immaginate la mia faccia dal ritorno dall'università alla vista di un divano di pelle che fino a qualche ora prima non c'era.
Purtroppo il padrone di casa non ha apprezzato, e la mattina seguente ci ha nuovamente svuotato il salotto.
Se non si pagasse l'affitto, sembrerebbe di vivere in una di quelle case occupate, dove gli inquilini devono difendersi dagli attacchi del legittimo proprietario.
E così ecco il secondo miracolo di San Patrizio: dopo aver cacciato i serpenti dall'Irlanda, ha cacciato i mobili dal nostro salotto.
Una cosa è però certa: al di là di tutto, al 91 di Old South Head Road non ci si annoia.
Chi non viene sul blog non berrà mai goon nell'ultimo giorno di un divano già sfasciato.
Dopo questo giorno la Casa (la c maiuscola è un modo per far rendere meglio le dimensioni della stessa) non sarebbe stata più la stessa.
Io avevo lezione fino alle 9. Ciò significa che quando io stavo chiudendo l'astuccio, erano già tre ore che i miei coinquilini ci davano dentro con il goon, il parente più prossimo del Tavernello in Australia. Esatto. Vino nel cartone. O meglio, in un sacchetto di plastica all'interno di una scatola di cartone. Qui sembra non ci possa essere una festa senza l'immancabile goon.
Ma andiamo avanti.
Dopo l'università, raggiungo i miei molteplici coinquilini in un pub pieno di gente vestita di verde, perchè siamo tutti un po' più irlandesi oggi. Qui si balla e si sbevazza un altro po', finchè verso le 2 la festa non si trasferisce a Casa.
Tolti quelli che si sono ritirati nelle rispettive stanze per fini riproduttivi, i restanti hanno continuato a fare baldoria nel salotto. Però c'è un finchè. Finchè infatti un cileno non ha ben deciso di emulare il Bill Murray di Ghostbuster, giocando con l'estintore nel suddetto salotto, rendendolo inagibile. (Tra l'altro, scena bellissima: in un salotto con la visibilità limitata a causa della polvere dell'estintore, solo una figura emergeva dalla nebbia: un francesce sbronzo che, come se non stesse succedendo niente, continuava stoicamente a preparare il suo narghilè della buonanotte). Vabbè direte. Festa un po' più movimentata del solito, ma niente di che.
Ma il bello è successo a festa terminata. La mattina dopo infatti, quando già nella casa la parola hangover aveva iniziato a rieccheggiare, il padrone di casa è arrivato e, senza proferire parola con nessuno, ha segato il salotto a metà. Letteralmente. Ha iniziato con i divani e ha concluso in bellezza col tavolino. Poi ha caricato le carcasse dei divani nel furgone e ci ha lasciato il salotto vuoto.
Dopo un breve momento di sconforto, la Casa ha reagito.
Alcuni dei miei coinqulini, decisi a ripristinare l'amato luogo di aggregazione, hanno girato per le strade del quartiere a cercare divani e poltrone destinati alla discarica. Et voilà. Ecco un salotto nuovo di zecca. L'aspetto più inquietante è che i mobili trovati per strada erano molto più belli (e più puliti) di quelli pre-St. Patrick. Immaginate la mia faccia dal ritorno dall'università alla vista di un divano di pelle che fino a qualche ora prima non c'era.
Purtroppo il padrone di casa non ha apprezzato, e la mattina seguente ci ha nuovamente svuotato il salotto.
Se non si pagasse l'affitto, sembrerebbe di vivere in una di quelle case occupate, dove gli inquilini devono difendersi dagli attacchi del legittimo proprietario.
E così ecco il secondo miracolo di San Patrizio: dopo aver cacciato i serpenti dall'Irlanda, ha cacciato i mobili dal nostro salotto.
Una cosa è però certa: al di là di tutto, al 91 di Old South Head Road non ci si annoia.
Chi non viene sul blog non berrà mai goon nell'ultimo giorno di un divano già sfasciato.
domenica 21 marzo 2010
Tasmania o "Lotte con opossum per la cena e altre avventure, stavolta rigorosamente on the road"
I'm back.
Dopo un lungo silenzio cybernautico, eccomi di nuovo tra voi, insaziabili lettori. E ovviamente, sono qui per parlare del mio viaggio in quell'isola che nelle cartine dell'Australia è in basso a destra.
Visto che suppongo che molti di voi non siano molto ferrati sulla geografia della Tasmania vi metto qui sotto un'immagine con l'itinerario che io e Salvador abbiamo fatto a bordo del nostro mitico DevilCampervan (Google Maps stima i chilometri per difetto però, alla fine del viaggio il contachilometri segnava 1244).
Ma andiamo con ordine.
Che la Tasmania non è un'isola come le altre lo capisci solo guardando la sua cartina geografica: infatti, nello stradario prestatoci dall'autonoleggio, oltre ai vari luoghi di interesse, punti panoramici e amenità varie, venivano riportati i nomi e le date di tutte le navi affondate al largo delle coste della Tasmania. Sembra che ogni spiaggia possa vantare un relitto. Ma il passato torbido di questo ex covo di balenieri non riesce in alcun modo a minare la bellezza di quest'isola.
É stata breve, ma è stata esattamente il tipo di vacanza che avevo intenzione di fare: farsi rapire dalle bellezze naturali di questa nazione, nell'unico modo che ti permette di farlo, viaggiando on the road, con un itinerario in testa ma non definito, non sapendo la mattina dove si sarebbe arrivati la sera. Cinque giorni sono effettivamente pochi. Quest'isola sarebbe in grado di assorbire le tue attenzioni per un mese e più senza stancarti mai. Perchè, per un territorio relativamente così ridotto, la Tasmania ti offre gli ecosistemi più vari: dalle spiagge tipo Fiji, alle montagne tipo Svizzera, passando per foreste pluviali temperate, laghi e brughiere. Se si viaggia in macchina significa continuare a fermarsi per non perdersi dei paesaggi da sogno. E ti catturano a tal punto, che quando ti allontani non riesci a fare a meno di rimirarli dallo specchietto retrovisore.
Come prima cosa atterrati all'aeroporto di Hobart, io e il mio travelbuddy catalano siamo andati a recuperare quello che sarebbe stato il nostro nobile destriero nei giorni a seguire: un van Mitsubishi che ha visto tante storie ma non sembra essere stanco di mordere la strada.
E poi via verso sud-est, direzione Port Arthur, un ex colonia detentiva inglese, alla quale erano destinati i galeotti peggiori, quelli che non meritavano neppure di essere relegati in Australia. Questa prima tappa forse è stata la più deludente del viaggio, soprattutto per il fatto che il livello di conservazione di queste prigioni è molto peggiore della maggior parte degli edifici romani che ho avuto modo di visitare. Però non fa niente, almeno ci siamo tolti subito l'unica attrazione storica dell'isola.
A Port Arthur ho anche percorso i miei primi chilometri di guida a destra. Il dj di una radio locale mi ha infilato di seguito "Start me up" e "Born to run", non avrebbe potuto scegliere una colonna sonora migliore per il mio esordio al volante australiano. Sono sicuro che il mio Ipod l'ha condizionato da distante. Onestamente pensavo che avrei avuto più difficoltà a guidare. Invece, dopo i primi due minuti dove ti senti un po' spaesato, vai via tranquillamente. Poi il non traffico delle strade tasmaniane rende tutto più facile.
Un aspetto delle strade che non fai a meno di notare è il numero di animali morti che si incontrano. Ogni giorno contavamo decine e decine di carcasse di wallabies, opossum e roditori vari che sono stati attirati per l'ultima dalle luci di una macchina. Infatti qui guidare di notte è sconsigliato da chiunque. Perchè se investi un opossum, pace all'anima sua, ma se lo sventurato attraversatore è invece un canguro, pace all'anima sua e a quella della macchina.
Nonostante io continuassi a guardarmi intorno per cercare di vedere i canguri, il primo animale che sono riuscito a vedere in libertà è stato un emu, una specie di struzzo che c'è da queste parti. Nei giorni a seguire la lista degli animali che sono riuscito a vedere nel loro habitat naturale si è allungata, arrivando a comprendere un paio di echidna, il cugino locale del porcospino, parecchi wallaby, che non sono altro che canguri bonsai, opossum, di cui vi racconterò meglio più tardi e il più figo di tutti, ladies and gentlemen, nientepocodimenoche mister ornitorinco. Avete presente quegli animali esotici che ti incuriosiscono da bambino, ma che poi non senti più nominare, come l'armadillo, il formichiere o lo gnu? Che pensi che non riuscirai mai a vedere, perchè non sono popolari come altri animali tropicali più mainstream che riempono i nostri zoo? L'ornitorinco era uno di questi. É un incrocio mal riuscito tra un'anatra e una lontra e dicono sia molto difficile da avvistare, perchè, come tutti sappiamo, l'ornitorinco è un timido. I did it e la regressione ad una felicità quasi infantile successiva, ne è stata la naturale conseguenza.
Ma torniamo al primo giorno.
La sera siamo arrivati a Coles Bay, ultimo paese prima del parco naturale di Freycinet, appena in tempo per goderci questo. Che non poteva non essere accompagnato da questo.
E anche la prima notte nel van sul ciglio della strada è andato benone, nonostanze l'inesperienza.
Il secondo giorno è stato quello della visita al parco naturale di Freycinet, che è famoso soprattutto per questa spiaggia, nominata spesso tra le migliori al mondo. La spiaggia si chiama Wineglass Bay e, nonostante l'aspetto paradisiaco, nasconde più di uno scheletro nell'armadio. Qui infatti, prima che l'Australia ne proibisse la caccia, centinaia di balene sono state ammazzate. E il colore del loro sangue ha dato il nome alla baia. Ora però le balene sembrano essersi dimenticate di cosa succedeva qui, tant'è che, durante le loro migrazioni, sono solite fare una pausa qui, per riposarsi un po' e darsi una ripulita con la sabbia del fondale. D'altronde, come biasimarle?
Sarà poi che qui l'estate è agli sgoccioli, sarà che per arrivare serve più di un'ora di cammino, però il numero di persone che si incontrano in questa spiaggia ti lascia forse ancora più sbalordito che la spiaggia stessa. Un bel chilometro di sabbia finissima da condividere con al più 15 persone. Non solo in questa, ma in tutte le spiagge che abbiamo visto in Tasmania, i bagnanti si contavano sulle dita di due mani (quando ce ne sono). Ogni tanto provavo a pensare a cosa ne sarebbe stato in Italia di un posto simile e mi immaginavo hotel, villaggi turistici, bagni attrezzati, palazzine di cemento costruite negli anni sessanta e signore di mezza età intente a fare acquagym al ritmo di qualche motivetto latino. Qui hanno creato un parco naturale per preservare la bellezza del posto. Che se non hai una barca, l'unico modo per raggiungere la spiaggia è attraversare un bosco popolato da wallaby, pappagalli e gallinelle di mare. Che l'unico vicino di asciugamano che ti dà delle noie, è un gabbiano che tenta di fregarti un panino. Che se proprio devi sentire qualche rumore fastidioso, è il verso della cornacchia in sottofondo. Che poi se te ne vieni qui nel periodo giusto, ti puoi anche fare un picnic in spiaggia guardando le balene.
Ma la Tasmania non è un caso isolato, perchè tutta l'Australia deve essere così. Basti pensare a Bondi Beach, che nonostante sia la spiaggia più turistica di Sydney e conti ogni giorno centinaia di bagnanti, non ha il suo entroterra più prossimo rovinato da ecomostri o da palazzine a quindici piani. Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare.
La seconda sera siamo arrivati a dormire in un campeggio attrezzato (anche gli esploratori più selvaggi ogni tanto non disdegnano farsi una doccia) nei pressi di St. Helens. Per essere pronti a visitare la mattina dopo Binalong Bay e Bay of Fires (date un'occhiata alle foto), dove non sembra il paesaggio sia cambiato molto da quando James Cook è sbarcato in Australia. Poi, dopo aver visitato un pezzo di foresta pluviale temperata con tanto di cascate (le Columba Falls, le più alte dell'isola), siamo arrivati a Launceston, la seconda città dell'isola. Famosa soprattutto per questo, un laghetto artificiale dove ci si può fare una nuotatina finito al lavoro, tra gli immancabili wallaby e i non proprio autoctoni pavoni.
Ma forse è stato il quarto giorno il mio preferito. Lasciataci Launceston alle spalle, ci siamo diretti verso sud-ovest, in direzione dei grandi parchi naturali, attraversando delle zone che dire incontaminate non rende pienamente l'idea. Perchè quest'isola che è due volte e mezzo la Sicilia, ma ha poco più gli abitanti della provincia di Trapani, per lo più concentrati nelle due cittadine principali, è indubbiamente il posto migliore per chi vuole far perdere le sue tracce o ama la solitudine. In questi cinque giorni il mio cellulare ha funzionato solo nelle zone intorno a Hobart e a Launceston, per il resto non c'è mai stato campo. Paesi confinanti da 500-1000 abitanti a una mezz'ora di distanza l'uno dall'altro. Strade come questa. Per questo ho scritto all'inizio che solo viaggiando on the road riesci a cogliere lo spirito di questi posti. Anche perchè se dopo 3 ore al volante su strade che da noi verrebbero chiamate statali, ma che qui ottengono il titolo di highway, ti imbatti in un posto come The Hungry Wombat e mangi il miglior hamburger della tua vita, capisci che il gioco vale eccome la candela.
In questo quarto giorno abbiamo visto il Lake St. Clair, che è il punto d'arrivo dell'Overland Track, un percorso di trekking di 80km nel più grande parco naturale della Tasmania. Magari il prossimo viaggio in Tasmania si fa.
La sera siamo andati a dormire in un campeggio nel parco di Mt. Field, dove, andando a vedere le cascate Russell, ci siamo imbattuti nel sopraccitato ornitorinco, nonchè in numerosi wallaby intenti a cenare.
Ma è stata la nostra cena a regalarci il contatto più ravvicinato col mondo animale. Infatti, io e Salvador avevamo deciso finalmente di utilizzare il fornelletto a gas in dotazione per farci un'italianissima pasta. Ignorando però che gli opossum gradissero la cucina mediterranea. La lotta per la difesa del nostro cibo è stata all'ultimo sangue. Le fasi salienti dell'incontro sono state: il fischio d'inizio, lo scontro, il verdetto. Il tutto accompagnato da un sessantenne neozelandese in partenza per l'Overland track che ci narrava delle sue avventure sessuali nelle Filippine. La parte degli opossum è stata però divertente (la seconda un po' meno).
L'ultimo giorno, prima di tornare nella civiltà, siamo andati a un centro per animali orfani o sfigati: una specie di zoo per vedere gli animali che non eravamo riusciti a vedere in the wild. Ed ecco quindi koala (nella prossima vita voglio essere un koala, l'animale più pacifico di questa terra), wombat e la star della casa, il diavolo della Tasmania. Che poi chiamare diavolo un orsetto non più alto di 30 centimetri è stato un colpo basso; però è anche vero che non sembra in grado di stare fermo un secondo, come fosse, per l'appunto, indiavolato.
Ultima tappa del viaggio quindi a Hobart, la capitale. Niente di eccezionale. Uniche cose degne di nota: la piazza principale, più che altro per il nome, Salamanca square, che ti fa venire voglia di cercare le tapas del bar Tevere, ma che ahimé con la Castilla y Leon ha poco a che fare; seconda cosa, il buon fish&chips preso al porto la sera.
Quest'isola ti lascia la voglia di tornare per stare più a lungo. Per camminare. Per pescare nelle decine di laghi e fiumi. Per uscire dal mondo per qualche tempo.
Non sono riuscito a vedere quella che dicono sia la montagna più bella della Tasmania. Un mio amico dice che non bisogna mai vedere tutto di un posto, così si ha la scusa per tornare. Lo spero o, come si dice qui, hopefully, che rende più l'idea di come sia pieno di speranza.
Ora vi lascio, spero di avervi lasciato la voglia di valutare la Tasmania come possibile meta.
La prossima volta vi racconto di St. Patrick e della bolgia che è casa mia.
Chi non viene sul blog, avrà vita difficile in uno scontro uomo vs. opossum!
PS. Per chi non conosce bene Flickr, consiglio di vedere le foto della Tasmania cliccando qui e poi in alto a destra su slideshow. Almeno potete vederle grandi e in ordine.
Dopo un lungo silenzio cybernautico, eccomi di nuovo tra voi, insaziabili lettori. E ovviamente, sono qui per parlare del mio viaggio in quell'isola che nelle cartine dell'Australia è in basso a destra.
Visto che suppongo che molti di voi non siano molto ferrati sulla geografia della Tasmania vi metto qui sotto un'immagine con l'itinerario che io e Salvador abbiamo fatto a bordo del nostro mitico DevilCampervan (Google Maps stima i chilometri per difetto però, alla fine del viaggio il contachilometri segnava 1244).
Ma andiamo con ordine.
Che la Tasmania non è un'isola come le altre lo capisci solo guardando la sua cartina geografica: infatti, nello stradario prestatoci dall'autonoleggio, oltre ai vari luoghi di interesse, punti panoramici e amenità varie, venivano riportati i nomi e le date di tutte le navi affondate al largo delle coste della Tasmania. Sembra che ogni spiaggia possa vantare un relitto. Ma il passato torbido di questo ex covo di balenieri non riesce in alcun modo a minare la bellezza di quest'isola.
É stata breve, ma è stata esattamente il tipo di vacanza che avevo intenzione di fare: farsi rapire dalle bellezze naturali di questa nazione, nell'unico modo che ti permette di farlo, viaggiando on the road, con un itinerario in testa ma non definito, non sapendo la mattina dove si sarebbe arrivati la sera. Cinque giorni sono effettivamente pochi. Quest'isola sarebbe in grado di assorbire le tue attenzioni per un mese e più senza stancarti mai. Perchè, per un territorio relativamente così ridotto, la Tasmania ti offre gli ecosistemi più vari: dalle spiagge tipo Fiji, alle montagne tipo Svizzera, passando per foreste pluviali temperate, laghi e brughiere. Se si viaggia in macchina significa continuare a fermarsi per non perdersi dei paesaggi da sogno. E ti catturano a tal punto, che quando ti allontani non riesci a fare a meno di rimirarli dallo specchietto retrovisore.
Come prima cosa atterrati all'aeroporto di Hobart, io e il mio travelbuddy catalano siamo andati a recuperare quello che sarebbe stato il nostro nobile destriero nei giorni a seguire: un van Mitsubishi che ha visto tante storie ma non sembra essere stanco di mordere la strada.
E poi via verso sud-est, direzione Port Arthur, un ex colonia detentiva inglese, alla quale erano destinati i galeotti peggiori, quelli che non meritavano neppure di essere relegati in Australia. Questa prima tappa forse è stata la più deludente del viaggio, soprattutto per il fatto che il livello di conservazione di queste prigioni è molto peggiore della maggior parte degli edifici romani che ho avuto modo di visitare. Però non fa niente, almeno ci siamo tolti subito l'unica attrazione storica dell'isola.
A Port Arthur ho anche percorso i miei primi chilometri di guida a destra. Il dj di una radio locale mi ha infilato di seguito "Start me up" e "Born to run", non avrebbe potuto scegliere una colonna sonora migliore per il mio esordio al volante australiano. Sono sicuro che il mio Ipod l'ha condizionato da distante. Onestamente pensavo che avrei avuto più difficoltà a guidare. Invece, dopo i primi due minuti dove ti senti un po' spaesato, vai via tranquillamente. Poi il non traffico delle strade tasmaniane rende tutto più facile.
Un aspetto delle strade che non fai a meno di notare è il numero di animali morti che si incontrano. Ogni giorno contavamo decine e decine di carcasse di wallabies, opossum e roditori vari che sono stati attirati per l'ultima dalle luci di una macchina. Infatti qui guidare di notte è sconsigliato da chiunque. Perchè se investi un opossum, pace all'anima sua, ma se lo sventurato attraversatore è invece un canguro, pace all'anima sua e a quella della macchina.
Nonostante io continuassi a guardarmi intorno per cercare di vedere i canguri, il primo animale che sono riuscito a vedere in libertà è stato un emu, una specie di struzzo che c'è da queste parti. Nei giorni a seguire la lista degli animali che sono riuscito a vedere nel loro habitat naturale si è allungata, arrivando a comprendere un paio di echidna, il cugino locale del porcospino, parecchi wallaby, che non sono altro che canguri bonsai, opossum, di cui vi racconterò meglio più tardi e il più figo di tutti, ladies and gentlemen, nientepocodimenoche mister ornitorinco. Avete presente quegli animali esotici che ti incuriosiscono da bambino, ma che poi non senti più nominare, come l'armadillo, il formichiere o lo gnu? Che pensi che non riuscirai mai a vedere, perchè non sono popolari come altri animali tropicali più mainstream che riempono i nostri zoo? L'ornitorinco era uno di questi. É un incrocio mal riuscito tra un'anatra e una lontra e dicono sia molto difficile da avvistare, perchè, come tutti sappiamo, l'ornitorinco è un timido. I did it e la regressione ad una felicità quasi infantile successiva, ne è stata la naturale conseguenza.
Ma torniamo al primo giorno.
La sera siamo arrivati a Coles Bay, ultimo paese prima del parco naturale di Freycinet, appena in tempo per goderci questo. Che non poteva non essere accompagnato da questo.
E anche la prima notte nel van sul ciglio della strada è andato benone, nonostanze l'inesperienza.
Il secondo giorno è stato quello della visita al parco naturale di Freycinet, che è famoso soprattutto per questa spiaggia, nominata spesso tra le migliori al mondo. La spiaggia si chiama Wineglass Bay e, nonostante l'aspetto paradisiaco, nasconde più di uno scheletro nell'armadio. Qui infatti, prima che l'Australia ne proibisse la caccia, centinaia di balene sono state ammazzate. E il colore del loro sangue ha dato il nome alla baia. Ora però le balene sembrano essersi dimenticate di cosa succedeva qui, tant'è che, durante le loro migrazioni, sono solite fare una pausa qui, per riposarsi un po' e darsi una ripulita con la sabbia del fondale. D'altronde, come biasimarle?
Sarà poi che qui l'estate è agli sgoccioli, sarà che per arrivare serve più di un'ora di cammino, però il numero di persone che si incontrano in questa spiaggia ti lascia forse ancora più sbalordito che la spiaggia stessa. Un bel chilometro di sabbia finissima da condividere con al più 15 persone. Non solo in questa, ma in tutte le spiagge che abbiamo visto in Tasmania, i bagnanti si contavano sulle dita di due mani (quando ce ne sono). Ogni tanto provavo a pensare a cosa ne sarebbe stato in Italia di un posto simile e mi immaginavo hotel, villaggi turistici, bagni attrezzati, palazzine di cemento costruite negli anni sessanta e signore di mezza età intente a fare acquagym al ritmo di qualche motivetto latino. Qui hanno creato un parco naturale per preservare la bellezza del posto. Che se non hai una barca, l'unico modo per raggiungere la spiaggia è attraversare un bosco popolato da wallaby, pappagalli e gallinelle di mare. Che l'unico vicino di asciugamano che ti dà delle noie, è un gabbiano che tenta di fregarti un panino. Che se proprio devi sentire qualche rumore fastidioso, è il verso della cornacchia in sottofondo. Che poi se te ne vieni qui nel periodo giusto, ti puoi anche fare un picnic in spiaggia guardando le balene.
Ma la Tasmania non è un caso isolato, perchè tutta l'Australia deve essere così. Basti pensare a Bondi Beach, che nonostante sia la spiaggia più turistica di Sydney e conti ogni giorno centinaia di bagnanti, non ha il suo entroterra più prossimo rovinato da ecomostri o da palazzine a quindici piani. Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare.
La seconda sera siamo arrivati a dormire in un campeggio attrezzato (anche gli esploratori più selvaggi ogni tanto non disdegnano farsi una doccia) nei pressi di St. Helens. Per essere pronti a visitare la mattina dopo Binalong Bay e Bay of Fires (date un'occhiata alle foto), dove non sembra il paesaggio sia cambiato molto da quando James Cook è sbarcato in Australia. Poi, dopo aver visitato un pezzo di foresta pluviale temperata con tanto di cascate (le Columba Falls, le più alte dell'isola), siamo arrivati a Launceston, la seconda città dell'isola. Famosa soprattutto per questo, un laghetto artificiale dove ci si può fare una nuotatina finito al lavoro, tra gli immancabili wallaby e i non proprio autoctoni pavoni.
Ma forse è stato il quarto giorno il mio preferito. Lasciataci Launceston alle spalle, ci siamo diretti verso sud-ovest, in direzione dei grandi parchi naturali, attraversando delle zone che dire incontaminate non rende pienamente l'idea. Perchè quest'isola che è due volte e mezzo la Sicilia, ma ha poco più gli abitanti della provincia di Trapani, per lo più concentrati nelle due cittadine principali, è indubbiamente il posto migliore per chi vuole far perdere le sue tracce o ama la solitudine. In questi cinque giorni il mio cellulare ha funzionato solo nelle zone intorno a Hobart e a Launceston, per il resto non c'è mai stato campo. Paesi confinanti da 500-1000 abitanti a una mezz'ora di distanza l'uno dall'altro. Strade come questa. Per questo ho scritto all'inizio che solo viaggiando on the road riesci a cogliere lo spirito di questi posti. Anche perchè se dopo 3 ore al volante su strade che da noi verrebbero chiamate statali, ma che qui ottengono il titolo di highway, ti imbatti in un posto come The Hungry Wombat e mangi il miglior hamburger della tua vita, capisci che il gioco vale eccome la candela.
In questo quarto giorno abbiamo visto il Lake St. Clair, che è il punto d'arrivo dell'Overland Track, un percorso di trekking di 80km nel più grande parco naturale della Tasmania. Magari il prossimo viaggio in Tasmania si fa.
La sera siamo andati a dormire in un campeggio nel parco di Mt. Field, dove, andando a vedere le cascate Russell, ci siamo imbattuti nel sopraccitato ornitorinco, nonchè in numerosi wallaby intenti a cenare.
Ma è stata la nostra cena a regalarci il contatto più ravvicinato col mondo animale. Infatti, io e Salvador avevamo deciso finalmente di utilizzare il fornelletto a gas in dotazione per farci un'italianissima pasta. Ignorando però che gli opossum gradissero la cucina mediterranea. La lotta per la difesa del nostro cibo è stata all'ultimo sangue. Le fasi salienti dell'incontro sono state: il fischio d'inizio, lo scontro, il verdetto. Il tutto accompagnato da un sessantenne neozelandese in partenza per l'Overland track che ci narrava delle sue avventure sessuali nelle Filippine. La parte degli opossum è stata però divertente (la seconda un po' meno).
L'ultimo giorno, prima di tornare nella civiltà, siamo andati a un centro per animali orfani o sfigati: una specie di zoo per vedere gli animali che non eravamo riusciti a vedere in the wild. Ed ecco quindi koala (nella prossima vita voglio essere un koala, l'animale più pacifico di questa terra), wombat e la star della casa, il diavolo della Tasmania. Che poi chiamare diavolo un orsetto non più alto di 30 centimetri è stato un colpo basso; però è anche vero che non sembra in grado di stare fermo un secondo, come fosse, per l'appunto, indiavolato.
Ultima tappa del viaggio quindi a Hobart, la capitale. Niente di eccezionale. Uniche cose degne di nota: la piazza principale, più che altro per il nome, Salamanca square, che ti fa venire voglia di cercare le tapas del bar Tevere, ma che ahimé con la Castilla y Leon ha poco a che fare; seconda cosa, il buon fish&chips preso al porto la sera.
Quest'isola ti lascia la voglia di tornare per stare più a lungo. Per camminare. Per pescare nelle decine di laghi e fiumi. Per uscire dal mondo per qualche tempo.
Non sono riuscito a vedere quella che dicono sia la montagna più bella della Tasmania. Un mio amico dice che non bisogna mai vedere tutto di un posto, così si ha la scusa per tornare. Lo spero o, come si dice qui, hopefully, che rende più l'idea di come sia pieno di speranza.
Ora vi lascio, spero di avervi lasciato la voglia di valutare la Tasmania come possibile meta.
La prossima volta vi racconto di St. Patrick e della bolgia che è casa mia.
Chi non viene sul blog, avrà vita difficile in uno scontro uomo vs. opossum!
PS. Per chi non conosce bene Flickr, consiglio di vedere le foto della Tasmania cliccando qui e poi in alto a destra su slideshow. Almeno potete vederle grandi e in ordine.
venerdì 19 marzo 2010
Prima dell'Opera House,
martedì 9 marzo 2010
Finalmente turista II o "Volpi volanti, sbirri gay e altre storie"
Bonsoir! (la convivenza con i transalpini inizia a sortire i suoi effetti)
Come state? Questa settimana il vostro ha iniziato le lezioni, anche se la sensazione di essere in vacanza non è ancora svanita del tutto. L’aspetto più socialmente interessante delle lezioni a cui ho avuto modo di assistere, è la composizione delle classi: più dell’80% dei miei compagni è cinese (li riconosci per il pessimo inglese e la scarsa padronanza nello scegliere il vestiario). La domanda che mi sono posto più volte nel corso di questa first week è stata: “ma dove sono gli australiani?”
Ma bando alle ciance. Iniziamo.
Prima cosa: la casa. All’inizio ero un po’ scettico sul vivere con tutta questa marea di persone, ma mi sono ricreduto in fretta. Il bello di vivere al 91 di Old South Head Road è che non c’è mai un momento in cui ti trovi solo. Alla sera non serve invitare gente per fare baldoria: anche se c’è solo un terzo dei coinquilini in salotto, può venire fuori una bella baraonda. Le persone che vivono qui hanno alle spalle i passati più svariati, ma tutti hanno qualche storia interessante da raccontare. Anche le provenienze sono le più varie: oltre al nutrito gruppo europeo (francesi, italiani e inglesi per lo più), vi sono un cileno, due brasiliane, una coppia giapponese e un neozelandese. Siamo alla ricerca di un africano per completare la collezione dei continenti, ma sembra che Rudy abbia uno zio della Sierra Leone, quindi possiamo dargliela buona.
Questa notte sarà la prima notte nella nuova stanza, nonchè la prima notte in cui dormo da solo da quando sono arrivato a Sydney. Non ci ero più abituato. Ho finalmente svuotato le valigie, con le camicie che mi imploravano di tirarle fuori dopo 3 settimane di prigionia nella plastica. Non escludo però di tornare a vivere in tripla, un po’ perchè costa 100 dollari in meno a settimana, un po’ perchè, nonostante il casino che regnava sovrano, mi ci trovavo bene. Vedremo.
Ma parliamo un po’ di questa città. O meglio di queste città. Perchè Sydney può essere tante città allo stesso tempo. É Singapore, con i grattacieli del suo business district affacciati sul mare. É inglese nel sangue, ma asiatica d’adozione. É uno sterminio di porticcioli provenzali, con le sue decine di baie piene di barche a vela. É Camden Town, a Newtown, con i suoi locali alternativi e gli imponenti graffitti sui muri. É Lisbona, con le sue salite ripide e inaspettate e con il suo onnipresente ponte. É un placido paesino inglese, come ad Erkensville, dove le macchine non si sentono, i bambini giocano per strada e le case a due piani sono allo stesso tempo tutte uguali e diverse tra loro. É le sue spiaggie, forse come nessuna altra metropoli al mondo. É i suoi quartieri residenziali con le villette con giardino e piscina e vista sulle barche a vela che si sfidano nella baia. É Amsterdam, a Kings Cross, che se avete letto i post precedenti non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni. É i suoi parchi, dove si possono incontrare dagli opossum ai pappagalli. É molto Londra, pur senza la sua eleganza ma con un tempo decisamente migliore. Sydney mi ricorda tutti questi altri posti, ma non è simile a nessuno di questi nel suo complesso. Col tempo sono sicuro che riuscirò a capire meglio l’anima di questa città, ma finora il feedback è certamente positivo.
Poco fa ho menzionato i suoi parchi. La settimana scorsa sono stato al Royal Botanic Garden, un enorme giardino botanico a due passi dalla City. Sarà che vengo da un paese che ignora spesso l’importanza del verde pubblico, e che spesso all’estero rimango colpito dal fatto che in questi parchi vivono animali diversi dalle pantegane, ma questo ha superato ogni aspettativa. La sua location lo aiuta, con la vista dell’Opera House e del ponte dietro. Ma anche se non ci fosse questo panorama (il che non è una cosa da poco), sarebbe lo stesso un posto da favola. É difficile riuscire a camminare senza alzare continuamente lo sguardo per vedere pennuti come questo. Per non parlare delle piante. E di questi. Durante il giorno, vi sono centinaia di questi pipistrelli che dormono. Quando poi iniziano a volare e aprono le ali, capisci anche perchè Wikipedia spiega che il loro nome inglese è Grey-Headed Flying Foxes, volpi volanti dalla testa grigia. Se i pipistrelli che si vedono da noi sono niente più che topi alati, questi hanno le dimensioni di un cagnolino. Tra tutti gli esseri che solcano i cieli di Sydney, sono loro a suscitare più rispetto. Forse è anche quello che ha pensato Bruce Wayne, quando ha deciso che sarebbe diventato Batman.
Oltre alla flora e alla fauna, del Royal Botanic Garden ho apprezzato moltissimo lo stile con cui è gestito. I cartelli che invitano a togliersi le scarpe e a godersi una passeggiata nell’erba tagliata si contano a decine. Non mi sono lasciato pregare. Allo stesso tempo però raccomandano di non calpestare la terra delle aiuole (è sempre bello scrivere la parola più corta con tutte e 5 le vocali), in quanto sotto la suola delle scarpe è spesso presente un fungo che potrebbe compromettere la salute delle piante.
Se non avessi dimenticato l’Ipod a casa (cazzo cazzo cazzo), finchè stavo seduto sugli scogli a guardare i catamarani passare sotto l’Harbour Bridge, avrei sicuramente ascoltato "Us and them" dei Pink Floyd. Da quando una mattina, a Milano, uscendo dalla metropolitana, ascoltando questa canzone, ho visto il Duomo illuminato dal sole, l’ho sempre pensata come una rappresentazione in musica dell’uomo che sconfigge la natura, migliorandola. Qualche tempo dopo, quando ho visto 2001 Odissea nello Spazio, ho scoperto che per descrivere una sensazione simile, Kubrick aveva preferito "Così parlò Zarathustra" di Strauss. A ognuno il suo. Quello che è certo è che mi è rimasta la voglia di ascoltare Us and them contemplando l’Opera House.
La sera della mia visita al Royal Botanic Garden sono poi andato a uno degli eventi più famosi di Sydney, il Mardi Gras, la sfilata gay più famosa dell’Oceania. Ma non è solo un evento gay. É una festa per tutta la città. É un Carnevale. Nella folla che assiste ci sono anziani e bambini, e anche la maggioranza degli spettatori è etero. Molti negozi espongono la bandiera arcobaleno simbolo del movimento LGBT. L’arteria principale della città si ferma. Tra i carri della sfilata vi sono quelli di tutti i principali corpi pubblici della città, dalla polizia, ai pompieri, all’agenzia che gestisce i trasporti. Per una nazione con una alta eterogeneità al suo interno, la difesa di ogni forma di diversità, siano esse etniche, religiose o sessuali, è un passo fondamentale.
La sfilata è iniziata con una processione di moto di grossa cilindrata. L’aspetto inusuale è che alla guida non vi erano cappelloni coi baffi e giubbotto in pelle, ma signore e signorine di tutte le età, stazze e livelli di femminilità, ma con preferenze sessuali abbastanza concordi. E saranno state diverse dozzine. (Ad onor del vero, dopo le fanciulle, sono scesi in campo anche i ragazzi, ma i motociclisti gay anche in Australia si contano sulle dita di due mani).
Poi è iniziata la sfilata vera e propria, molto simile a quella nostra del Carnevale, con carri rigorosamente gay friendly. Come prevedibile, l’obiettivo era smontare tutti i cardini del machismo. Oltre ai già citati pompieri e sbirri, vi erano carrozze dei giocatori di rugby, dei bagnini (una delle più belle dal punto di vista coreografico), dei militari e degli scozzesi (il cartello “I saw the Cockness Monster” ha suscitato parecchi applausi). Un altro carro particolarmente divertente era quello che prendeva in giro l’Islamismo oltranzista, con ballerine con burqa e tanga che ballavano sotto lo slogan “A new way of fundamentalism”.
Senza ombra di dubbio, è stata una serata diversa dalle altre.
Le foto del Mardi Gras sono venute uno schifo, ho fatto però dei video che caricherò in seguito. Intanto, se volete vedere un po' di foto: qui ho messo un po' di foto dei miei primi giorni a Sydney e qui quelle della passeggiata al Royal Botanic Garden. Enjoy!
Dopodomani vado in Tasmania, come già sapete, quindi ci sentiremo tra qualche giorno.
Chiudo con una supplica finanziaria. Un Dollaro Australiano un anno fa valeva circa 0,50 Euro. Quando sono arrivato valeva 0,65 abbondanti. Ora si prepara a sorpassare il muro del 0,67. Se va avanti così per luglio avremo la parità. Quindi, se non volete che il vostro beniamino inizi a vendere organi vitali per sopravvivere, comprate euri e vendete dollari australiani nel caso li aveste. Chi lo fa vince una foto autografata di Rudy con tanto di dedica.
Buona festa della donna a tutte le migliaia (stima per difetto) di lettrici affezionate a questo blog.
Chi non legge sul blog è Another Brick in the Wall.
Come state? Questa settimana il vostro ha iniziato le lezioni, anche se la sensazione di essere in vacanza non è ancora svanita del tutto. L’aspetto più socialmente interessante delle lezioni a cui ho avuto modo di assistere, è la composizione delle classi: più dell’80% dei miei compagni è cinese (li riconosci per il pessimo inglese e la scarsa padronanza nello scegliere il vestiario). La domanda che mi sono posto più volte nel corso di questa first week è stata: “ma dove sono gli australiani?”
Ma bando alle ciance. Iniziamo.
Prima cosa: la casa. All’inizio ero un po’ scettico sul vivere con tutta questa marea di persone, ma mi sono ricreduto in fretta. Il bello di vivere al 91 di Old South Head Road è che non c’è mai un momento in cui ti trovi solo. Alla sera non serve invitare gente per fare baldoria: anche se c’è solo un terzo dei coinquilini in salotto, può venire fuori una bella baraonda. Le persone che vivono qui hanno alle spalle i passati più svariati, ma tutti hanno qualche storia interessante da raccontare. Anche le provenienze sono le più varie: oltre al nutrito gruppo europeo (francesi, italiani e inglesi per lo più), vi sono un cileno, due brasiliane, una coppia giapponese e un neozelandese. Siamo alla ricerca di un africano per completare la collezione dei continenti, ma sembra che Rudy abbia uno zio della Sierra Leone, quindi possiamo dargliela buona.
Questa notte sarà la prima notte nella nuova stanza, nonchè la prima notte in cui dormo da solo da quando sono arrivato a Sydney. Non ci ero più abituato. Ho finalmente svuotato le valigie, con le camicie che mi imploravano di tirarle fuori dopo 3 settimane di prigionia nella plastica. Non escludo però di tornare a vivere in tripla, un po’ perchè costa 100 dollari in meno a settimana, un po’ perchè, nonostante il casino che regnava sovrano, mi ci trovavo bene. Vedremo.
Ma parliamo un po’ di questa città. O meglio di queste città. Perchè Sydney può essere tante città allo stesso tempo. É Singapore, con i grattacieli del suo business district affacciati sul mare. É inglese nel sangue, ma asiatica d’adozione. É uno sterminio di porticcioli provenzali, con le sue decine di baie piene di barche a vela. É Camden Town, a Newtown, con i suoi locali alternativi e gli imponenti graffitti sui muri. É Lisbona, con le sue salite ripide e inaspettate e con il suo onnipresente ponte. É un placido paesino inglese, come ad Erkensville, dove le macchine non si sentono, i bambini giocano per strada e le case a due piani sono allo stesso tempo tutte uguali e diverse tra loro. É le sue spiaggie, forse come nessuna altra metropoli al mondo. É i suoi quartieri residenziali con le villette con giardino e piscina e vista sulle barche a vela che si sfidano nella baia. É Amsterdam, a Kings Cross, che se avete letto i post precedenti non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni. É i suoi parchi, dove si possono incontrare dagli opossum ai pappagalli. É molto Londra, pur senza la sua eleganza ma con un tempo decisamente migliore. Sydney mi ricorda tutti questi altri posti, ma non è simile a nessuno di questi nel suo complesso. Col tempo sono sicuro che riuscirò a capire meglio l’anima di questa città, ma finora il feedback è certamente positivo.
Poco fa ho menzionato i suoi parchi. La settimana scorsa sono stato al Royal Botanic Garden, un enorme giardino botanico a due passi dalla City. Sarà che vengo da un paese che ignora spesso l’importanza del verde pubblico, e che spesso all’estero rimango colpito dal fatto che in questi parchi vivono animali diversi dalle pantegane, ma questo ha superato ogni aspettativa. La sua location lo aiuta, con la vista dell’Opera House e del ponte dietro. Ma anche se non ci fosse questo panorama (il che non è una cosa da poco), sarebbe lo stesso un posto da favola. É difficile riuscire a camminare senza alzare continuamente lo sguardo per vedere pennuti come questo. Per non parlare delle piante. E di questi. Durante il giorno, vi sono centinaia di questi pipistrelli che dormono. Quando poi iniziano a volare e aprono le ali, capisci anche perchè Wikipedia spiega che il loro nome inglese è Grey-Headed Flying Foxes, volpi volanti dalla testa grigia. Se i pipistrelli che si vedono da noi sono niente più che topi alati, questi hanno le dimensioni di un cagnolino. Tra tutti gli esseri che solcano i cieli di Sydney, sono loro a suscitare più rispetto. Forse è anche quello che ha pensato Bruce Wayne, quando ha deciso che sarebbe diventato Batman.
Oltre alla flora e alla fauna, del Royal Botanic Garden ho apprezzato moltissimo lo stile con cui è gestito. I cartelli che invitano a togliersi le scarpe e a godersi una passeggiata nell’erba tagliata si contano a decine. Non mi sono lasciato pregare. Allo stesso tempo però raccomandano di non calpestare la terra delle aiuole (è sempre bello scrivere la parola più corta con tutte e 5 le vocali), in quanto sotto la suola delle scarpe è spesso presente un fungo che potrebbe compromettere la salute delle piante.
Se non avessi dimenticato l’Ipod a casa (cazzo cazzo cazzo), finchè stavo seduto sugli scogli a guardare i catamarani passare sotto l’Harbour Bridge, avrei sicuramente ascoltato "Us and them" dei Pink Floyd. Da quando una mattina, a Milano, uscendo dalla metropolitana, ascoltando questa canzone, ho visto il Duomo illuminato dal sole, l’ho sempre pensata come una rappresentazione in musica dell’uomo che sconfigge la natura, migliorandola. Qualche tempo dopo, quando ho visto 2001 Odissea nello Spazio, ho scoperto che per descrivere una sensazione simile, Kubrick aveva preferito "Così parlò Zarathustra" di Strauss. A ognuno il suo. Quello che è certo è che mi è rimasta la voglia di ascoltare Us and them contemplando l’Opera House.
La sera della mia visita al Royal Botanic Garden sono poi andato a uno degli eventi più famosi di Sydney, il Mardi Gras, la sfilata gay più famosa dell’Oceania. Ma non è solo un evento gay. É una festa per tutta la città. É un Carnevale. Nella folla che assiste ci sono anziani e bambini, e anche la maggioranza degli spettatori è etero. Molti negozi espongono la bandiera arcobaleno simbolo del movimento LGBT. L’arteria principale della città si ferma. Tra i carri della sfilata vi sono quelli di tutti i principali corpi pubblici della città, dalla polizia, ai pompieri, all’agenzia che gestisce i trasporti. Per una nazione con una alta eterogeneità al suo interno, la difesa di ogni forma di diversità, siano esse etniche, religiose o sessuali, è un passo fondamentale.
La sfilata è iniziata con una processione di moto di grossa cilindrata. L’aspetto inusuale è che alla guida non vi erano cappelloni coi baffi e giubbotto in pelle, ma signore e signorine di tutte le età, stazze e livelli di femminilità, ma con preferenze sessuali abbastanza concordi. E saranno state diverse dozzine. (Ad onor del vero, dopo le fanciulle, sono scesi in campo anche i ragazzi, ma i motociclisti gay anche in Australia si contano sulle dita di due mani).
Poi è iniziata la sfilata vera e propria, molto simile a quella nostra del Carnevale, con carri rigorosamente gay friendly. Come prevedibile, l’obiettivo era smontare tutti i cardini del machismo. Oltre ai già citati pompieri e sbirri, vi erano carrozze dei giocatori di rugby, dei bagnini (una delle più belle dal punto di vista coreografico), dei militari e degli scozzesi (il cartello “I saw the Cockness Monster” ha suscitato parecchi applausi). Un altro carro particolarmente divertente era quello che prendeva in giro l’Islamismo oltranzista, con ballerine con burqa e tanga che ballavano sotto lo slogan “A new way of fundamentalism”.
Senza ombra di dubbio, è stata una serata diversa dalle altre.
Le foto del Mardi Gras sono venute uno schifo, ho fatto però dei video che caricherò in seguito. Intanto, se volete vedere un po' di foto: qui ho messo un po' di foto dei miei primi giorni a Sydney e qui quelle della passeggiata al Royal Botanic Garden. Enjoy!
Dopodomani vado in Tasmania, come già sapete, quindi ci sentiremo tra qualche giorno.
Chiudo con una supplica finanziaria. Un Dollaro Australiano un anno fa valeva circa 0,50 Euro. Quando sono arrivato valeva 0,65 abbondanti. Ora si prepara a sorpassare il muro del 0,67. Se va avanti così per luglio avremo la parità. Quindi, se non volete che il vostro beniamino inizi a vendere organi vitali per sopravvivere, comprate euri e vendete dollari australiani nel caso li aveste. Chi lo fa vince una foto autografata di Rudy con tanto di dedica.
Buona festa della donna a tutte le migliaia (stima per difetto) di lettrici affezionate a questo blog.
Chi non legge sul blog è Another Brick in the Wall.
venerdì 5 marzo 2010
Abusivismo in Sydney o "Rudy, il coinqulino che non ti aspetti e altre storie"
Nell’ultimo post ho dimenticato un particolare della nuova casa.
Infatti, oltre alle quasi tre dozzine di persone che vivono qui (sono più di 25, ma nessuno sa il numero esatto), c’è anche un simpatico roditore, dalla stazza robusta e la pelliccia argentea, che bivacca in una delle due cucine (non quella dove mangio io però). Ho anche avuto modo di conoscerlo la prima sera che ero arrivato. Un irlandese che non risulterebbe mai negativo ad un controllo antidoping, (soprattutto per quanto riguarda le sostanze con cui gli adepti del rastafaresimo si avvicinano a Jah), mi ha spiegato come l’inquilino abusivo si chiami Rudy. Fino a un po’ di tempo fa si racconta ci fosse anche Hugo, poi se ne è andato. Devono aver litigato.
I miei coinquilini non sembrano interessarsi più di tanto della presenza di Rudy. A me fa un po’ schifo, ma prendo la cosa con filosofia. D’altronde, anche il ben più autorevole Plinius Maior era arrivato alla medesima soluzione affermando: “Mures incolae domuum sunt” (non preoccupatevi, non sono diventato un fine latinista, l’ho semplicemente trovata su Wikipedia).
Chi non capisse la frase latina, chieda pure a lei: le sue performance nella lingua dei nostri antenati hanno fatto letteralmente il giro del mondo.
PS. Oggi è il compleanno del corridore con la pettorina 4380: un augurio di buon compleanno e di poter continuare a macinare chilometri per molti altri anni.
Infatti, oltre alle quasi tre dozzine di persone che vivono qui (sono più di 25, ma nessuno sa il numero esatto), c’è anche un simpatico roditore, dalla stazza robusta e la pelliccia argentea, che bivacca in una delle due cucine (non quella dove mangio io però). Ho anche avuto modo di conoscerlo la prima sera che ero arrivato. Un irlandese che non risulterebbe mai negativo ad un controllo antidoping, (soprattutto per quanto riguarda le sostanze con cui gli adepti del rastafaresimo si avvicinano a Jah), mi ha spiegato come l’inquilino abusivo si chiami Rudy. Fino a un po’ di tempo fa si racconta ci fosse anche Hugo, poi se ne è andato. Devono aver litigato.
I miei coinquilini non sembrano interessarsi più di tanto della presenza di Rudy. A me fa un po’ schifo, ma prendo la cosa con filosofia. D’altronde, anche il ben più autorevole Plinius Maior era arrivato alla medesima soluzione affermando: “Mures incolae domuum sunt” (non preoccupatevi, non sono diventato un fine latinista, l’ho semplicemente trovata su Wikipedia).
Chi non capisse la frase latina, chieda pure a lei: le sue performance nella lingua dei nostri antenati hanno fatto letteralmente il giro del mondo.
PS. Oggi è il compleanno del corridore con la pettorina 4380: un augurio di buon compleanno e di poter continuare a macinare chilometri per molti altri anni.
mercoledì 3 marzo 2010
Finalmente turista o "Folgorato sulla via per Watson Bay e altre storie"
Buenas tarde a todos!
Vi sono mancato? In questi ultimi giorni ho avuto poco tempo per scrivere, anche perchè ho appena traslocato e ho passato questi primi giorni in Old South Head Road a tentare di imparare i nomi di, se non tutti, almeno una parte dell’esercito di persone con cui condivido il tetto. Sono anche successe un paio di cose, diciamo sgradevoli, che hanno fagocitato la mia attenzione. Però oggi sono di buon umore quindi non mi va di parlarne; vi basti sapere che il problema aveva a che fare con il Cimex Lectularius e che ora (spero) dovrebbe essersi risolto.
Breve nota di servizio: ho deciso che non caricherò le foto di questi mesi su Facebook, ma su Flickr per due ragioni: la prima è che alcuni dei miei più accaniti lettori (nonchè sponsor principali) non hanno Facebook e non sono intenzionati a farselo; la seconda è che così le foto saranno viste solo da chi è interessato, lasciando così all’oscuro tanti miei “amici” di Facebook, che non vedranno comparire le mie foto sulla loro pagina. Potete trovare le foto di Singapore qui, mentre della storia che vi sto per raccontare qui.
Vi consiglio però di guardarle tutte solo alla fine di aver letto questo post. Ho anche caricato il video della tradizione cinese dal nome irricordabile qui, perchè il video era troppo grande per essere caricato su questo sito.
Ma riprendiamo da dove ci eravamo lasciati. Avevo trovato casa. Terminato quindi (almeno provvisoriamente) il mio peregrinare senza meta per le vie più decentrate della città, ho potuto finalmente dedicarmi a una delle mie attività favorite: il turismo compulsivo.
Allora, venerdì scorso: sveglia dal Globe Hostel, colazione rigenerante da 8 dollari a base di cappuccino e croissant e pronti per andare da Kings Cross a Watson Bay. Dal momento che so che molti di voi non sono particolarmente ferrati sui diversi quartieri della capitale del New South Wales, vi risparmio la fatica e vi metto qui il mio itinerario approssimativo (anche se io sono convinto di aver camminato per più di 16 kilometri)
Avevo capito di essere sulla strada giusta quando, ancora in Rushcutter Bay, chiedendo ad un autoctono indicazioni per Watson Bay, mi sono sentito rispondere: “it’s quite long but it’s a very nice walk and not many overseas tourists do that”.
Non si trattava certo dell’itinerario più turistico di Sydney, visto che ero l’unico tra le persone che ho incontrato dotato di macchina fotografica. Ma, nondimeno, in più punti questa passeggiata mi ha regalato delle impagabili viste panoramiche sulla baia di Sydney con tanto di skyline e di quel vanitoso di un Harbour Bridge che non rinuncia mai ad apparire in una foto. La giornata è stata anche ricca di incontri interessanti, o per lo meno curiosi.
Il primo non l’ho ancora capito bene e mi servirebbe un esperto di costumi orientali per ottenere una spiegazione valida. Ero in un parchetto vicino al porto e vedo questo gruppo di cinesi procedere in fila indiana, biascicando qualche parola a labbra chiuse. Non solo, ai lati del parco vedo altre persone continuare a mormorare qualcosa in mandarino. Inizalmente pensavo ad una comitiva turistica, ma quando hanno iniziato a girare in tondo per il parco mi sono incuriosito. Al che, il vostro eroe, armato con la sua Panasonic Lumix, decide di immortalare per i posteri questo bizzarro comportamento. Quand’ecco una ragazza inviperita venire verso di me ad intimarmi di cancellare la foto. Non l’ho fatto, apportando come pretesto che l’allegra comitiva non rientrava nella foto. La foto è questa. Chiunque sappia qualcosa su queste strane usanze non esiti a contattarmi. Mah!
Il secondo non è stato proprio un incontro, perchè questa parola sottindende una qualsiasi forma di interazione interpersonale, che in questo caso non è avvenuta. Però è stato un momento piacevole. Ero in un altro parco in riva al mare, deciso a prendermi una pausa in un angolo immerso nella totale quiete e con tanto di vista sulla city. Perchè Sydney ha una caratteristica che non avevo mai trovato in una città di più di 4 milioni di abitanti: ti regala dei posti che ti permettono di sentire solamente lo scrosciare delle onde e il cantare degli uccelli. In questo angolo lontano dalla frenesia cittadina vi erano altre due persone. Un pescatore di passione e un postino in pausa. Nessuno dei due mi ha dedicato più di uno sguardo. Ma siamo rimasti per una mezz’ora non troppo distanti l’uno dall’altro, attenti a non disturbare la pace del posto. Per tutto il periodo in cui sono rimasto lì, ho visto il pescatore prendere diversi pesci, senza però tenerne nessuno. Non aveva nemmeno il secchio, dove in genere chi pesca tiene il pescato. Probabilmente rigettava i pesci in mare perchè troppo piccoli, ma mi piace immaginarlo come uno che aiuta i pesci a non farsi pescare; come quando uno si prende una malattia infettiva e poi ne diventa immune, allo stesso modo un pesce, dopo aver abboccato una volta ad un’esca starà ben attento a non farlo una seconda. Mi piace pensare che questo fosse l’hobby del mio compagno di quiete: istruire i pesci a non fidarsi degli ami.
Il secondo personaggio, invece, sembrava appena uscito da un pub scozzese. Venuto in bicicletta, non si è mai tolto il casco per tutto il tempo in cui è rimasto lì, trascorrendo i minuti della sua pausa pranzo sorseggiando una birra con gli occhi fissi sulla baia e i piedi sospesi sopra le onde. Se mai dovessi finire per essere un postino a Sydney, penso che anch’io passerò le mie pause pranzo in questo modo in Elizabeth Bay.
Il terzo incontro però è stato il più divertente. L’ora di pranzo era arrivata da un pezzo e cominciavo ad avere fame. Avevo già visto diversi bar, ma nessuno di questi vendeva alcolici. Potevo transigere su diverse cose, ma avevo assolutamente voglia di una birra fresca. É così che sono arrivato a un risto-bar, che offriva anche la possibilità di scommettere sulle corse dei cani. Dopo il mio meritato piatto di calamari fritti, stavo consultando la Lonely Planet, quando si avvicina un signore dagli addominali particolarmente rilassati, sorpreso dal vedere un turista in quel bar. Ho passato un po’ di tempo con lui e i suoi compagni di bevute, scroccando un’altra birra, ricevendo consigli su posti da visitare in Australia e ricambiando gli stessi, suggerendo ristoranti in Trastevere, per il mio nuovo amico che stava per partire per Roma. Gli australiani, almeno quelli che ho avuto modo di conoscere finora, sono molto aperti e curiosi nei confronti dello straniero, specialmente se viene da lontano. Ho avuto il mio da fare per spiegare che volevo raggiungere a piedi Watson Bay e non volevo un passaggio in macchina. Ancora più sofferto è stato il rifiuto della terza birra.
Più tardi, nel pomeriggio, ho avuto ancora modo di testare la gentilezza australiana quando un anziano signore, vedendomi in difficoltà nel trovare le indicazioni stradali, dopo avermi aiutato mi ha anch’egli proposto un passaggio in macchina. Al mio rifiuto mi ha detto che sarei dovuto ripassare per una tazza di té. Impagabile.
Il mio arrivo a Watson Bay è stato reso più dolce da una coppia just married, intenta a fare le foto di rito, e da Eolo, che aveva finalmente iniziato a spazzare via le nubi e regalarmi il mio meritato sguardo sulla baia, sotto l’azzurro di un cielo con l’ozono bucherellato.
Sydney ti risveglia delle voglie che non pensavi di avere. Una su tutte: ti viene voglia di andare in barca a vela. Ho sempre preferito la terra all'acqua, ma quando vedi tutte queste barche delle più svariate dimensioni cavalcare le tranquille onde della baia, la tentazione di rivdere le proprie posizioni è forte.
Un'altra cosa che mi piacerebbe fare qui, e non ridete, è fare un corso di bird-watching, nell'accezione più ornitologica del termine. Le nostre città sono piene di piccioni e passeri. Qui ci sono uccelli di tutti i colori, forme, dimensioni e suoni. Il più frequente e ridicolo è questo, che con la sua camminata claudicante fa compagnia a quelli che fanno picnic nei parchi. Ma questi ibis non sono gli unici pennuti che si trovano facilmente, perchè si vedono anche questi, questi, questi e questi.
Alla fine sono arrivato a the Gap, la parte della penisola di Vaucluse che si affaccia sull'oceano e dove si registrano la maggior parte dei suicidi di Sydney. Tutti quelli a cui chiedevo informazioni stradali per The Gap mi rispondevano: "Don't jump off!".
Non ero lì per quello. E poi Eolo aveva appena finito il suo lavoro.
Ah, tornando a Kings Cross ho anche trovato loro. Ancora un poco e non li seguivo.
La prossima volta vi racconterò del Mardi Gras e della mia scoperta della città, ora sono stanco di scrivere.
Un abbraccio a tutti, soprattutto a chi mi ha scritto in questi giorni manifestandomi il loro affetto.
Chi non viene sul blog è un Kookaburra!
PS. per gli amanti delle scommesse, la persona che nel post precedente aveva richiesto un visto, l'ha ottenuto. L'ultima volta che persone dall'Extremadura sono sbarcate su un altro continente, le culture millenarie degli Aztechi e dei Maya sono scomparse nel giro di poco tempo. Spero che agli aborigeni australiani le cose vadano meglio.
Vi sono mancato? In questi ultimi giorni ho avuto poco tempo per scrivere, anche perchè ho appena traslocato e ho passato questi primi giorni in Old South Head Road a tentare di imparare i nomi di, se non tutti, almeno una parte dell’esercito di persone con cui condivido il tetto. Sono anche successe un paio di cose, diciamo sgradevoli, che hanno fagocitato la mia attenzione. Però oggi sono di buon umore quindi non mi va di parlarne; vi basti sapere che il problema aveva a che fare con il Cimex Lectularius e che ora (spero) dovrebbe essersi risolto.
Breve nota di servizio: ho deciso che non caricherò le foto di questi mesi su Facebook, ma su Flickr per due ragioni: la prima è che alcuni dei miei più accaniti lettori (nonchè sponsor principali) non hanno Facebook e non sono intenzionati a farselo; la seconda è che così le foto saranno viste solo da chi è interessato, lasciando così all’oscuro tanti miei “amici” di Facebook, che non vedranno comparire le mie foto sulla loro pagina. Potete trovare le foto di Singapore qui, mentre della storia che vi sto per raccontare qui.
Vi consiglio però di guardarle tutte solo alla fine di aver letto questo post. Ho anche caricato il video della tradizione cinese dal nome irricordabile qui, perchè il video era troppo grande per essere caricato su questo sito.
Ma riprendiamo da dove ci eravamo lasciati. Avevo trovato casa. Terminato quindi (almeno provvisoriamente) il mio peregrinare senza meta per le vie più decentrate della città, ho potuto finalmente dedicarmi a una delle mie attività favorite: il turismo compulsivo.
Allora, venerdì scorso: sveglia dal Globe Hostel, colazione rigenerante da 8 dollari a base di cappuccino e croissant e pronti per andare da Kings Cross a Watson Bay. Dal momento che so che molti di voi non sono particolarmente ferrati sui diversi quartieri della capitale del New South Wales, vi risparmio la fatica e vi metto qui il mio itinerario approssimativo (anche se io sono convinto di aver camminato per più di 16 kilometri)
Avevo capito di essere sulla strada giusta quando, ancora in Rushcutter Bay, chiedendo ad un autoctono indicazioni per Watson Bay, mi sono sentito rispondere: “it’s quite long but it’s a very nice walk and not many overseas tourists do that”.
Non si trattava certo dell’itinerario più turistico di Sydney, visto che ero l’unico tra le persone che ho incontrato dotato di macchina fotografica. Ma, nondimeno, in più punti questa passeggiata mi ha regalato delle impagabili viste panoramiche sulla baia di Sydney con tanto di skyline e di quel vanitoso di un Harbour Bridge che non rinuncia mai ad apparire in una foto. La giornata è stata anche ricca di incontri interessanti, o per lo meno curiosi.
Il primo non l’ho ancora capito bene e mi servirebbe un esperto di costumi orientali per ottenere una spiegazione valida. Ero in un parchetto vicino al porto e vedo questo gruppo di cinesi procedere in fila indiana, biascicando qualche parola a labbra chiuse. Non solo, ai lati del parco vedo altre persone continuare a mormorare qualcosa in mandarino. Inizalmente pensavo ad una comitiva turistica, ma quando hanno iniziato a girare in tondo per il parco mi sono incuriosito. Al che, il vostro eroe, armato con la sua Panasonic Lumix, decide di immortalare per i posteri questo bizzarro comportamento. Quand’ecco una ragazza inviperita venire verso di me ad intimarmi di cancellare la foto. Non l’ho fatto, apportando come pretesto che l’allegra comitiva non rientrava nella foto. La foto è questa. Chiunque sappia qualcosa su queste strane usanze non esiti a contattarmi. Mah!
Il secondo non è stato proprio un incontro, perchè questa parola sottindende una qualsiasi forma di interazione interpersonale, che in questo caso non è avvenuta. Però è stato un momento piacevole. Ero in un altro parco in riva al mare, deciso a prendermi una pausa in un angolo immerso nella totale quiete e con tanto di vista sulla city. Perchè Sydney ha una caratteristica che non avevo mai trovato in una città di più di 4 milioni di abitanti: ti regala dei posti che ti permettono di sentire solamente lo scrosciare delle onde e il cantare degli uccelli. In questo angolo lontano dalla frenesia cittadina vi erano altre due persone. Un pescatore di passione e un postino in pausa. Nessuno dei due mi ha dedicato più di uno sguardo. Ma siamo rimasti per una mezz’ora non troppo distanti l’uno dall’altro, attenti a non disturbare la pace del posto. Per tutto il periodo in cui sono rimasto lì, ho visto il pescatore prendere diversi pesci, senza però tenerne nessuno. Non aveva nemmeno il secchio, dove in genere chi pesca tiene il pescato. Probabilmente rigettava i pesci in mare perchè troppo piccoli, ma mi piace immaginarlo come uno che aiuta i pesci a non farsi pescare; come quando uno si prende una malattia infettiva e poi ne diventa immune, allo stesso modo un pesce, dopo aver abboccato una volta ad un’esca starà ben attento a non farlo una seconda. Mi piace pensare che questo fosse l’hobby del mio compagno di quiete: istruire i pesci a non fidarsi degli ami.
Il secondo personaggio, invece, sembrava appena uscito da un pub scozzese. Venuto in bicicletta, non si è mai tolto il casco per tutto il tempo in cui è rimasto lì, trascorrendo i minuti della sua pausa pranzo sorseggiando una birra con gli occhi fissi sulla baia e i piedi sospesi sopra le onde. Se mai dovessi finire per essere un postino a Sydney, penso che anch’io passerò le mie pause pranzo in questo modo in Elizabeth Bay.
Il terzo incontro però è stato il più divertente. L’ora di pranzo era arrivata da un pezzo e cominciavo ad avere fame. Avevo già visto diversi bar, ma nessuno di questi vendeva alcolici. Potevo transigere su diverse cose, ma avevo assolutamente voglia di una birra fresca. É così che sono arrivato a un risto-bar, che offriva anche la possibilità di scommettere sulle corse dei cani. Dopo il mio meritato piatto di calamari fritti, stavo consultando la Lonely Planet, quando si avvicina un signore dagli addominali particolarmente rilassati, sorpreso dal vedere un turista in quel bar. Ho passato un po’ di tempo con lui e i suoi compagni di bevute, scroccando un’altra birra, ricevendo consigli su posti da visitare in Australia e ricambiando gli stessi, suggerendo ristoranti in Trastevere, per il mio nuovo amico che stava per partire per Roma. Gli australiani, almeno quelli che ho avuto modo di conoscere finora, sono molto aperti e curiosi nei confronti dello straniero, specialmente se viene da lontano. Ho avuto il mio da fare per spiegare che volevo raggiungere a piedi Watson Bay e non volevo un passaggio in macchina. Ancora più sofferto è stato il rifiuto della terza birra.
Più tardi, nel pomeriggio, ho avuto ancora modo di testare la gentilezza australiana quando un anziano signore, vedendomi in difficoltà nel trovare le indicazioni stradali, dopo avermi aiutato mi ha anch’egli proposto un passaggio in macchina. Al mio rifiuto mi ha detto che sarei dovuto ripassare per una tazza di té. Impagabile.
Il mio arrivo a Watson Bay è stato reso più dolce da una coppia just married, intenta a fare le foto di rito, e da Eolo, che aveva finalmente iniziato a spazzare via le nubi e regalarmi il mio meritato sguardo sulla baia, sotto l’azzurro di un cielo con l’ozono bucherellato.
Sydney ti risveglia delle voglie che non pensavi di avere. Una su tutte: ti viene voglia di andare in barca a vela. Ho sempre preferito la terra all'acqua, ma quando vedi tutte queste barche delle più svariate dimensioni cavalcare le tranquille onde della baia, la tentazione di rivdere le proprie posizioni è forte.
Un'altra cosa che mi piacerebbe fare qui, e non ridete, è fare un corso di bird-watching, nell'accezione più ornitologica del termine. Le nostre città sono piene di piccioni e passeri. Qui ci sono uccelli di tutti i colori, forme, dimensioni e suoni. Il più frequente e ridicolo è questo, che con la sua camminata claudicante fa compagnia a quelli che fanno picnic nei parchi. Ma questi ibis non sono gli unici pennuti che si trovano facilmente, perchè si vedono anche questi, questi, questi e questi.
Alla fine sono arrivato a the Gap, la parte della penisola di Vaucluse che si affaccia sull'oceano e dove si registrano la maggior parte dei suicidi di Sydney. Tutti quelli a cui chiedevo informazioni stradali per The Gap mi rispondevano: "Don't jump off!".
Non ero lì per quello. E poi Eolo aveva appena finito il suo lavoro.
Ah, tornando a Kings Cross ho anche trovato loro. Ancora un poco e non li seguivo.
La prossima volta vi racconterò del Mardi Gras e della mia scoperta della città, ora sono stanco di scrivere.
Un abbraccio a tutti, soprattutto a chi mi ha scritto in questi giorni manifestandomi il loro affetto.
Chi non viene sul blog è un Kookaburra!
PS. per gli amanti delle scommesse, la persona che nel post precedente aveva richiesto un visto, l'ha ottenuto. L'ultima volta che persone dall'Extremadura sono sbarcate su un altro continente, le culture millenarie degli Aztechi e dei Maya sono scomparse nel giro di poco tempo. Spero che agli aborigeni australiani le cose vadano meglio.
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