I'm back.
Dopo un lungo silenzio cybernautico, eccomi di nuovo tra voi, insaziabili lettori. E ovviamente, sono qui per parlare del mio viaggio in quell'isola che nelle cartine dell'Australia è in basso a destra.
Visto che suppongo che molti di voi non siano molto ferrati sulla geografia della Tasmania vi metto qui sotto un'immagine con l'itinerario che io e Salvador abbiamo fatto a bordo del nostro mitico DevilCampervan (Google Maps stima i chilometri per difetto però, alla fine del viaggio il contachilometri segnava 1244).
Ma andiamo con ordine.
Che la Tasmania non è un'isola come le altre lo capisci solo guardando la sua cartina geografica: infatti, nello stradario prestatoci dall'autonoleggio, oltre ai vari luoghi di interesse, punti panoramici e amenità varie, venivano riportati i nomi e le date di tutte le navi affondate al largo delle coste della Tasmania. Sembra che ogni spiaggia possa vantare un relitto. Ma il passato torbido di questo ex covo di balenieri non riesce in alcun modo a minare la bellezza di quest'isola.
É stata breve, ma è stata esattamente il tipo di vacanza che avevo intenzione di fare: farsi rapire dalle bellezze naturali di questa nazione, nell'unico modo che ti permette di farlo, viaggiando on the road, con un itinerario in testa ma non definito, non sapendo la mattina dove si sarebbe arrivati la sera. Cinque giorni sono effettivamente pochi. Quest'isola sarebbe in grado di assorbire le tue attenzioni per un mese e più senza stancarti mai. Perchè, per un territorio relativamente così ridotto, la Tasmania ti offre gli ecosistemi più vari: dalle spiagge tipo Fiji, alle montagne tipo Svizzera, passando per foreste pluviali temperate, laghi e brughiere. Se si viaggia in macchina significa continuare a fermarsi per non perdersi dei paesaggi da sogno. E ti catturano a tal punto, che quando ti allontani non riesci a fare a meno di rimirarli dallo specchietto retrovisore.
Come prima cosa atterrati all'aeroporto di Hobart, io e il mio travelbuddy catalano siamo andati a recuperare quello che sarebbe stato il nostro nobile destriero nei giorni a seguire: un van Mitsubishi che ha visto tante storie ma non sembra essere stanco di mordere la strada.
E poi via verso sud-est, direzione Port Arthur, un ex colonia detentiva inglese, alla quale erano destinati i galeotti peggiori, quelli che non meritavano neppure di essere relegati in Australia. Questa prima tappa forse è stata la più deludente del viaggio, soprattutto per il fatto che il livello di conservazione di queste prigioni è molto peggiore della maggior parte degli edifici romani che ho avuto modo di visitare. Però non fa niente, almeno ci siamo tolti subito l'unica attrazione storica dell'isola.
A Port Arthur ho anche percorso i miei primi chilometri di guida a destra. Il dj di una radio locale mi ha infilato di seguito "Start me up" e "Born to run", non avrebbe potuto scegliere una colonna sonora migliore per il mio esordio al volante australiano. Sono sicuro che il mio Ipod l'ha condizionato da distante. Onestamente pensavo che avrei avuto più difficoltà a guidare. Invece, dopo i primi due minuti dove ti senti un po' spaesato, vai via tranquillamente. Poi il non traffico delle strade tasmaniane rende tutto più facile.
Un aspetto delle strade che non fai a meno di notare è il numero di animali morti che si incontrano. Ogni giorno contavamo decine e decine di carcasse di wallabies, opossum e roditori vari che sono stati attirati per l'ultima dalle luci di una macchina. Infatti qui guidare di notte è sconsigliato da chiunque. Perchè se investi un opossum, pace all'anima sua, ma se lo sventurato attraversatore è invece un canguro, pace all'anima sua e a quella della macchina.
Nonostante io continuassi a guardarmi intorno per cercare di vedere i canguri, il primo animale che sono riuscito a vedere in libertà è stato un emu, una specie di struzzo che c'è da queste parti. Nei giorni a seguire la lista degli animali che sono riuscito a vedere nel loro habitat naturale si è allungata, arrivando a comprendere un paio di echidna, il cugino locale del porcospino, parecchi wallaby, che non sono altro che canguri bonsai, opossum, di cui vi racconterò meglio più tardi e il più figo di tutti, ladies and gentlemen, nientepocodimenoche mister ornitorinco. Avete presente quegli animali esotici che ti incuriosiscono da bambino, ma che poi non senti più nominare, come l'armadillo, il formichiere o lo gnu? Che pensi che non riuscirai mai a vedere, perchè non sono popolari come altri animali tropicali più mainstream che riempono i nostri zoo? L'ornitorinco era uno di questi. É un incrocio mal riuscito tra un'anatra e una lontra e dicono sia molto difficile da avvistare, perchè, come tutti sappiamo, l'ornitorinco è un timido. I did it e la regressione ad una felicità quasi infantile successiva, ne è stata la naturale conseguenza.
Ma torniamo al primo giorno.
La sera siamo arrivati a Coles Bay, ultimo paese prima del parco naturale di Freycinet, appena in tempo per goderci questo. Che non poteva non essere accompagnato da questo.
E anche la prima notte nel van sul ciglio della strada è andato benone, nonostanze l'inesperienza.
Il secondo giorno è stato quello della visita al parco naturale di Freycinet, che è famoso soprattutto per questa spiaggia, nominata spesso tra le migliori al mondo. La spiaggia si chiama Wineglass Bay e, nonostante l'aspetto paradisiaco, nasconde più di uno scheletro nell'armadio. Qui infatti, prima che l'Australia ne proibisse la caccia, centinaia di balene sono state ammazzate. E il colore del loro sangue ha dato il nome alla baia. Ora però le balene sembrano essersi dimenticate di cosa succedeva qui, tant'è che, durante le loro migrazioni, sono solite fare una pausa qui, per riposarsi un po' e darsi una ripulita con la sabbia del fondale. D'altronde, come biasimarle?
Sarà poi che qui l'estate è agli sgoccioli, sarà che per arrivare serve più di un'ora di cammino, però il numero di persone che si incontrano in questa spiaggia ti lascia forse ancora più sbalordito che la spiaggia stessa. Un bel chilometro di sabbia finissima da condividere con al più 15 persone. Non solo in questa, ma in tutte le spiagge che abbiamo visto in Tasmania, i bagnanti si contavano sulle dita di due mani (quando ce ne sono). Ogni tanto provavo a pensare a cosa ne sarebbe stato in Italia di un posto simile e mi immaginavo hotel, villaggi turistici, bagni attrezzati, palazzine di cemento costruite negli anni sessanta e signore di mezza età intente a fare acquagym al ritmo di qualche motivetto latino. Qui hanno creato un parco naturale per preservare la bellezza del posto. Che se non hai una barca, l'unico modo per raggiungere la spiaggia è attraversare un bosco popolato da wallaby, pappagalli e gallinelle di mare. Che l'unico vicino di asciugamano che ti dà delle noie, è un gabbiano che tenta di fregarti un panino. Che se proprio devi sentire qualche rumore fastidioso, è il verso della cornacchia in sottofondo. Che poi se te ne vieni qui nel periodo giusto, ti puoi anche fare un picnic in spiaggia guardando le balene.
Ma la Tasmania non è un caso isolato, perchè tutta l'Australia deve essere così. Basti pensare a Bondi Beach, che nonostante sia la spiaggia più turistica di Sydney e conti ogni giorno centinaia di bagnanti, non ha il suo entroterra più prossimo rovinato da ecomostri o da palazzine a quindici piani. Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare.
La seconda sera siamo arrivati a dormire in un campeggio attrezzato (anche gli esploratori più selvaggi ogni tanto non disdegnano farsi una doccia) nei pressi di St. Helens. Per essere pronti a visitare la mattina dopo Binalong Bay e Bay of Fires (date un'occhiata alle foto), dove non sembra il paesaggio sia cambiato molto da quando James Cook è sbarcato in Australia. Poi, dopo aver visitato un pezzo di foresta pluviale temperata con tanto di cascate (le Columba Falls, le più alte dell'isola), siamo arrivati a Launceston, la seconda città dell'isola. Famosa soprattutto per questo, un laghetto artificiale dove ci si può fare una nuotatina finito al lavoro, tra gli immancabili wallaby e i non proprio autoctoni pavoni.
Ma forse è stato il quarto giorno il mio preferito. Lasciataci Launceston alle spalle, ci siamo diretti verso sud-ovest, in direzione dei grandi parchi naturali, attraversando delle zone che dire incontaminate non rende pienamente l'idea. Perchè quest'isola che è due volte e mezzo la Sicilia, ma ha poco più gli abitanti della provincia di Trapani, per lo più concentrati nelle due cittadine principali, è indubbiamente il posto migliore per chi vuole far perdere le sue tracce o ama la solitudine. In questi cinque giorni il mio cellulare ha funzionato solo nelle zone intorno a Hobart e a Launceston, per il resto non c'è mai stato campo. Paesi confinanti da 500-1000 abitanti a una mezz'ora di distanza l'uno dall'altro. Strade come questa. Per questo ho scritto all'inizio che solo viaggiando on the road riesci a cogliere lo spirito di questi posti. Anche perchè se dopo 3 ore al volante su strade che da noi verrebbero chiamate statali, ma che qui ottengono il titolo di highway, ti imbatti in un posto come The Hungry Wombat e mangi il miglior hamburger della tua vita, capisci che il gioco vale eccome la candela.
In questo quarto giorno abbiamo visto il Lake St. Clair, che è il punto d'arrivo dell'Overland Track, un percorso di trekking di 80km nel più grande parco naturale della Tasmania. Magari il prossimo viaggio in Tasmania si fa.
La sera siamo andati a dormire in un campeggio nel parco di Mt. Field, dove, andando a vedere le cascate Russell, ci siamo imbattuti nel sopraccitato ornitorinco, nonchè in numerosi wallaby intenti a cenare.
Ma è stata la nostra cena a regalarci il contatto più ravvicinato col mondo animale. Infatti, io e Salvador avevamo deciso finalmente di utilizzare il fornelletto a gas in dotazione per farci un'italianissima pasta. Ignorando però che gli opossum gradissero la cucina mediterranea. La lotta per la difesa del nostro cibo è stata all'ultimo sangue. Le fasi salienti dell'incontro sono state: il fischio d'inizio, lo scontro, il verdetto. Il tutto accompagnato da un sessantenne neozelandese in partenza per l'Overland track che ci narrava delle sue avventure sessuali nelle Filippine. La parte degli opossum è stata però divertente (la seconda un po' meno).
L'ultimo giorno, prima di tornare nella civiltà, siamo andati a un centro per animali orfani o sfigati: una specie di zoo per vedere gli animali che non eravamo riusciti a vedere in the wild. Ed ecco quindi koala (nella prossima vita voglio essere un koala, l'animale più pacifico di questa terra), wombat e la star della casa, il diavolo della Tasmania. Che poi chiamare diavolo un orsetto non più alto di 30 centimetri è stato un colpo basso; però è anche vero che non sembra in grado di stare fermo un secondo, come fosse, per l'appunto, indiavolato.
Ultima tappa del viaggio quindi a Hobart, la capitale. Niente di eccezionale. Uniche cose degne di nota: la piazza principale, più che altro per il nome, Salamanca square, che ti fa venire voglia di cercare le tapas del bar Tevere, ma che ahimé con la Castilla y Leon ha poco a che fare; seconda cosa, il buon fish&chips preso al porto la sera.
Quest'isola ti lascia la voglia di tornare per stare più a lungo. Per camminare. Per pescare nelle decine di laghi e fiumi. Per uscire dal mondo per qualche tempo.
Non sono riuscito a vedere quella che dicono sia la montagna più bella della Tasmania. Un mio amico dice che non bisogna mai vedere tutto di un posto, così si ha la scusa per tornare. Lo spero o, come si dice qui, hopefully, che rende più l'idea di come sia pieno di speranza.
Ora vi lascio, spero di avervi lasciato la voglia di valutare la Tasmania come possibile meta.
La prossima volta vi racconto di St. Patrick e della bolgia che è casa mia.
Chi non viene sul blog, avrà vita difficile in uno scontro uomo vs. opossum!
PS. Per chi non conosce bene Flickr, consiglio di vedere le foto della Tasmania cliccando qui e poi in alto a destra su slideshow. Almeno potete vederle grandi e in ordine.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Stupendo..e stupende le foto! :)
RispondiEliminaPortami un koalaaa!
Un bacio fratellino