martedì 13 luglio 2010
domenica 27 giugno 2010
The last trip o "Imitando John McDouall Stuart e altre storie"
Ed anche la Sydney experience volse al termine.
Prima di tornare pero' c'e' tempo per l'ultimo viaggetto nel down under. Ora vi scrivo da Melbourne, ma non e' in questa parte d'Australia che restero' nelle prossime settimane.
Il bello di questa nazione e' che ti permette di non racchiudere in un nome di una sola localita' la destinazione del viaggio. Dopo un paio di giorni in un parco naturale grande quanto il Veneto, si stara' infatti in un solo altro posto per le seguenti settimane.
Ma non e' ne' una citta', ne' un'isola, ne' una regione: e' la Stuart Highway, da nord a sud, in tutta la sua interezza e anche oltre. In termini europei, un po' come andare da Lisbona a Varsavia passando per Venezia, con il deserto pero' tra la Castiglia e la Repubblica Ceca.
3600 chilometri ed un unico obiettivo: vedere questo spettacolo.
(Credevate sul serio che avrei fatto tutta questa strada per vedere un enorme sasso in mezzo a della sabbia?)
Stay tuned!
Chi non viene sul blog e' un Thorny Devil!
PS. mi scuso per l'uso di apostrofi al posto di accenti, ma la tastiera anglofona dell'ostello non mi permette altrimenti.
Prima di tornare pero' c'e' tempo per l'ultimo viaggetto nel down under. Ora vi scrivo da Melbourne, ma non e' in questa parte d'Australia che restero' nelle prossime settimane.
Il bello di questa nazione e' che ti permette di non racchiudere in un nome di una sola localita' la destinazione del viaggio. Dopo un paio di giorni in un parco naturale grande quanto il Veneto, si stara' infatti in un solo altro posto per le seguenti settimane.
Ma non e' ne' una citta', ne' un'isola, ne' una regione: e' la Stuart Highway, da nord a sud, in tutta la sua interezza e anche oltre. In termini europei, un po' come andare da Lisbona a Varsavia passando per Venezia, con il deserto pero' tra la Castiglia e la Repubblica Ceca.
3600 chilometri ed un unico obiettivo: vedere questo spettacolo.
(Credevate sul serio che avrei fatto tutta questa strada per vedere un enorme sasso in mezzo a della sabbia?)
Stay tuned!
Chi non viene sul blog e' un Thorny Devil!
PS. mi scuso per l'uso di apostrofi al posto di accenti, ma la tastiera anglofona dell'ostello non mi permette altrimenti.
lunedì 21 giugno 2010
La coppa del mondo o "Non è un paese per fighette e altre storie"
Chi diceva che qui sono interessati solo al rugby e al cricket?
Anche se il calcio non è di certo lo sport più popolare, per la Coppa del Mondo Sydney si è riempita di macchine con questa bandierina appesa per tifare i Socceroos:
Al Darling Harbour hanno poi montato un ambaradan di roba, con maxischermichioschispettacolidirette24oresu24 per sentirsi un po' più vicini al resto del mondo.
Per una nazione abituata ai contrasti di gioco del rugby o dell'australian football, il fatto che dei calciatori simulino cadute è un'offesa alla virilità dello sport. Per questo quando parli di calcio con un australiano tira ancora fuori il rigore su Grosso del passato mondiale, che li aveva eliminati.
E intanto, finchè i nostri se ne stanno tutti impomatati a farsi fotografare da Dolce&Gabbana negli spogliatoi, gli Australiani si allenano così.
Che dire, non è un paese per fighette.
Chi non viene sul blog si farà parare il tiro dal coccodrillo!
PS.
Chi volesse sentire il tanto vituperato (da alcuni) inno Mameliano live al Darling Harbour, lo trova qui.
Anche se il calcio non è di certo lo sport più popolare, per la Coppa del Mondo Sydney si è riempita di macchine con questa bandierina appesa per tifare i Socceroos:
Al Darling Harbour hanno poi montato un ambaradan di roba, con maxischermichioschispettacolidirette24oresu24 per sentirsi un po' più vicini al resto del mondo.
Per una nazione abituata ai contrasti di gioco del rugby o dell'australian football, il fatto che dei calciatori simulino cadute è un'offesa alla virilità dello sport. Per questo quando parli di calcio con un australiano tira ancora fuori il rigore su Grosso del passato mondiale, che li aveva eliminati.
E intanto, finchè i nostri se ne stanno tutti impomatati a farsi fotografare da Dolce&Gabbana negli spogliatoi, gli Australiani si allenano così.
Che dire, non è un paese per fighette.
Chi non viene sul blog si farà parare il tiro dal coccodrillo!
PS.
Chi volesse sentire il tanto vituperato (da alcuni) inno Mameliano live al Darling Harbour, lo trova qui.
giovedì 10 giugno 2010
Post per mia mamma...
...che, da brava mamma italiana, come prima domanda, mi chiede sempre se sto mangiando: ecco una excursus gastronomico di questi mesi in ordine cronologico.
La risposta a quella che di solito è la seconda domanda invece è: "Sì, il latte lo bevo", anche se solitamente a colazione non ho la macchina fotografica sottomano.
La risposta a quella che di solito è la seconda domanda invece è: "Sì, il latte lo bevo", anche se solitamente a colazione non ho la macchina fotografica sottomano.
Tutto iniziò così: il primo pranzo nell'aereo
Dolciumi di Singapore
La versione malese della piadina romagnola
Cibarie di buon auspicio cinesi
Cenone di Capodanno (Cinese)
Primo BBQ a Tamarama Beach
Una dolce pausa nipponica nella ricerca di un tetto
Pranzo a Rose Bay
Pasta Tasmaniana (quella che poi ha mangiato l'opossum)
Cena della Casa a Bondi Junction 1
Cena della Casa a Bondi Junction 2
Sushi break
Le tradizioni pasquali che non vanno mai trascurate
The Spanish touch
Sfide messicane
L'ultima cena (australiana)
Italica cena
Il maiale non è l'unico animale del quale non va buttato via niente
Cena a Chinatown
Pranzo a Palm Beach
Pancakes on the Rocks
Baffo, ostriche e calamari al Fish Markets
The making of Pasta alle melanzane
Italico dessert
Et, dulcis in fundum, the making of ragù (sopra) e il risultato finale (sotto)
Dolciumi di Singapore
La versione malese della piadina romagnola
Cibarie di buon auspicio cinesi
Cenone di Capodanno (Cinese)
Primo BBQ a Tamarama Beach
Una dolce pausa nipponica nella ricerca di un tetto
Pranzo a Rose Bay
Pasta Tasmaniana (quella che poi ha mangiato l'opossum)
Cena della Casa a Bondi Junction 1
Cena della Casa a Bondi Junction 2
Sushi break
Le tradizioni pasquali che non vanno mai trascurate
The Spanish touch
Sfide messicane
L'ultima cena (australiana)
Italica cena
Il maiale non è l'unico animale del quale non va buttato via niente
Cena a Chinatown
Pranzo a Palm Beach
Pancakes on the Rocks
Baffo, ostriche e calamari al Fish Markets
The making of Pasta alle melanzane
Italico dessert
Et, dulcis in fundum, the making of ragù (sopra) e il risultato finale (sotto)
mercoledì 9 giugno 2010
Paese che vai, usanza che trovi o "Stereotipi australiani e altre storie"
Così almeno, quando tutti voi mi chiederete come prima cosa se ho surfato, la mia risposta non sarà un silenzio imbarazzato.
Quello comunque ci sarà quando mi chiederete se sono riuscito a restare in piedi.
Questo è stato l'unico momento in cui ho assunto una posizione degna di un discendente dell'Homo Erectus.
Chi non viene sul blog è un Homo Poco Sapiens!
Quello comunque ci sarà quando mi chiederete se sono riuscito a restare in piedi.
Questo è stato l'unico momento in cui ho assunto una posizione degna di un discendente dell'Homo Erectus.
Chi non viene sul blog è un Homo Poco Sapiens!
lunedì 7 giugno 2010
domenica 23 maggio 2010
A volte ritornano o "RDU April Tales e altre storie"
Lo so. É un po' di tempo che non scrivo niente sul vostro caro RDU e un po' mi sento in colpa. Quando ho scritto il mio ultimo post la Polonia aveva ancora tutte le sue figure più rappresentative in vita, il nome Eyjafjallajökull alla maggior parte degli europei sembrava una parola creata a caso dall'appoggio di un gomito su una tastiera del pc, quando si pensava alla Grecia veniva in mente solo il Partenone e non i titoli di stato spazzatura e nessuna squadra italiana aveva ancora raggiunto el triplete. Questo per farvi capire da quanto tempo è che non scrivo.
Vi devo delle giustificazioni: aprile è stato un mese un po' movimentato per ragioni che vi spiegherò a breve. Ma andiamo con un ordine monotonamente e banalmente cronologico per raccontare il mio secondo "autunno" da un anno a sta parte.
From Brisbane to Cairns o "Ronzinante, i piedipiatti del Queensland e altre storie"
Quando ci eravamo lasciati, l'invasione extremeña era alle porte e si è finalmente concretizzata all'alba del 30 marzo, quando ho recuperato in aeroporto una persona decisamente provata dall'essere stata per le precedenti 20 ore seduta su un sedile targato Qantas. I primi giorni sono stati romanticamente trascorsi all'insegna del turismo Sydneyano, finchè, la mattina del fool's day, dopo 15 ore di autobus, i nostri sono arrivati a Brisbane per iniziare il pellegrinaggio verso nord.
Siccome so che molti di voi non masticano la geografia di quaggiù, il nostro itinerario è stato il seguente:
So che è una banalità immensa, ma credetemi: non si riesce a capire quanto sia grande questo paese finchè non s'imbocca una delle sue autostrade e ci si rende conto delle distanze che vi sono tra un posto è un altro. Se poi il van che hai noleggiato si incazza quando arrivi a sfiorare i 90 all'ora, i tempi di percorrenza sembrano veramente infiniti.
Ah già, il van. Viste l'ispanicità di metà dei viaggiatori e le caratteristiche del mezzo, il nostro sobrio van non poteva essere battezzato in altro modo che Ronzinante (Rocinante per gli hispanohablantes). Per quanto concerne la sobrietà, nessuna descrizione può essere più esplicativa che una rappresentazione visiva del nostro nobile destriero.
Già la prima sera Ronzinante ci ha fatto capire di che pasta era fatto. Nel mazzo consegnatoci dall'autonoleggio vi erano due chiavi: una per il motore e il baule, l'altra per le due porte anteriori e quella laterale. Il perchè di questa scelta da parte della Mitsubishi mi è ignoto, ma ho subito risolto il problema di una potenziale confusione tra le chiavi, rompendo la chiave delle tre porte la prima sera. Risultato: una settimana di viaggio entrando dal baule (freudianamente si potrebbe pensare che Ronzinante non voleva terminare la sua fase anale infantile).
I primi due giorni potrebbero essere categorizzati sotto il titolo "No parking here". Infatti a Brisbane ci siamo beccati (mea culpa) AUD50 di multa per divieto di sosta (che non verrà mai pagata, essendosi persa per strada, lasciandomi così un debito nei confronti della giustizia del Queensland). La mattina seguente, invece, la polizia di Noosa Heads ci svegliava, ben prima delle 7, con dei teneri pugni sul lato di Ronzinante per intimarci gentilmente a lasciare il parcheggio in riva al mare che avevamo adibito a nostro domicilio temporaneo. Evvabbè.
Ma che quelli della polizia del Queensland siano dei gran burloni è una cosa arcinota. Il che è stato confermato anche dal test del palloncino che ho dovuto subire alle 11 del mattino in un paesino sperduto. Per fortuna avevo sospeso temporaneamente la mia colazione a base di Sambuca e Pan di Stelle, altrimenti sarebbero stati bitter dicks.
Ma torniamo al viaggio. La costa del Queensland è piena di perle. Oltre all'inflazionata Fraser Island (il cui lago Mckenzie però vale una visita), ho lasciato una parte del mio cuore a 1770 (sì è il nome), sede di un non di certo tradizionale pranzo pasquale. Ma soprattutto 1770 è un gioiellino la cui spiaggia è protetta dall'arroganza delle onde del Pacifico da una lingua di sabbia, grande sufficiente a rendere il movimento delle onde sulla riva più simile a quello di una vasca da bagno che a quello di una spiaggia su un oceano che non è poi così pacifico come il nome vorrebbe far credere.
L'altro pezzo di cuore l'ho lasciato invece a Magnetic Island (sarà anche per il fatto che il suo soprannome, Maggie, lo aiuta a farsi amare). Questa isoletta, fuori dai pricipali giri turistici, vanta, oltre alla più copiosa comunità di koala australiana, delle spiagge come questa o questa. (Mi scuso con chi di voi non ha Facebook, ma non sapevo che Flickr avesse un massimo di foto uploadabili e mi hanno fatto capire che "no money, no photo").
Il grande rimpianto del viaggio è non essere riuscito ad andare a vedere la Barriera Corallina (quella grande). Per andarci avremmo dovuto arrivare a Cairns con due giorni di anticipo ma, citando il gruppo capitanato da Stefano Belisari, tra il dire e il fare c'è di mezzo "e il". Quindi, anche per non sovraffaticare Ronzinante, indebolito dal clima dei tropici, abbiamo deciso di rinunciare. Ma, come dice Vitto, bisogna sempre lasciarsi qualcosa da vedere per aver la scusa di tornare.
Quindi, arrivati a Cairns, bye bye Ronzinante, che pure ci aveva difeso bene dalla nostra lotta contro i mulini a vento, (nella fattispecie rappresentati dai camion con rimorchio più veloci di noi che riempivano la Bruce Highway), volo Jet Star, bye bye Terra della Regina, welcome back Nuovo Galles del Sud, per trascorrere gli ultimi giorni di invasione ispanica più noiosamente a Sydney, senza dover ricorrere ad una bombola a gas per cucinare la cena.
Purtroppo però poi è arrivato anche il giorno di San Zeno, patrono scaligero, che per il 2010 per me ha significato la fine dell'invasione australiana da parte della piccola comitiva iberica. (Si richiede sospiro di tenerezza da parte del lettore).
L'autunno di Sydney o "Vagabondaggio 2.0 e altre storie"
Quello che però non mi immaginavo, era che le avventure di aprile erano solamente iniziate. Infatti, dovete sapere che il vostro beniamino, in un'opera di contorsionismo diplomatico, era riuscito a convincere il suo landlord (padrone di casa, per i meno avvezzi alla lingua della regina Elisabetta), a sospendere il pagamento dell'affitto per le due settimane di viaggio, muovendomi dalla singola alla tripla al termine delle stesse. Il landlord lì per lì aveva acconsentito, facendomi partire per il viaggio sicuro di avere un tetto al mio ritorno. Invece quel son of a bitch (messa in discussione dell'onorabilità del lavoro della madre del landlord, sempre per i meno anglofoni) mi ha comunicato, a due giorni dal mio ritorno a Sydney, che non sarei potuto tornare nella Casa.
In quel momento è iniziata ufficialmente la mia pricipale attività dell'aprile 2010: il vagabondare ancora una volta alla ricerca di un tetto. Non ci crederete, ma avevo quasi bisogno di questa instabilità abitativa. Infatti, in primo luogo mi ha fatto tornare a Kings Cross per un paio di settimane, in un ostello però decisamente migliore a quello di febbraio. Poi, sembra incredibile, ma stando in un ostello e condividendo la stanza con altre 9 persone avevo decisamente più privacy e più tempo per me che quando stavo nella Casa. Infine, dopo le due settimane in Kings Cross, ho passato una settimana a fare il beato tra le donne, dormendo sul divano di una casa abitate da Ilaria e Margherita, due mie amiche toscane, nonchè da Hannah, Jennifer, Moony, Jessica e Jordan, quattro ragazze (più un ragazzo) di Seattle; quindi non posso di certo lamentarmi.
Finalmente, il primo di maggio, sono arrivato in quella che dovrebbe essere la mia sistemazione definitiva. Se volete mandarmi lettere d'amore, di odio, lettere all'antrace o pacchi bomba, ora dovete spedirli all'87 di Darlington Road, Darlington NSW 2008. Ora condivido il tetto con un triatleta galiziano aspirante giornalista e con un trentatreenne ingegnere navale singaporegno, vegetariano per coerenza con la sua religione indù, che non permette di fare del male a nessun essere vivente.
Sydney e zone limitrofe o "Una città dove anche la circonvallazione ha qualcosa di poetico e altre storie"
Questa città ti fa innamorare di sé in maniera esponenzialmente proporzionale al tempo che vi si trascorre. Non riesci a stufarti di Sydney. O meglio, puoi se non ti sforzi di scoprirla. Perchè se ti basi solo su quanto dice la Lonely Planet, fai delle belle foto davanti all'Opera House o all'Harbour Bridge da far vedere agli amici, però non puoi dire di conoscere Sydney. Non posso certo dire di conoscere la città, ma sto facendo del mio meglio per non farmi sfuggire i dettagli che rendono il quadro così affascinante.
É per questo che vi metto qui sotto un paio di foto qui sotto. Così magari vi vedete un paio di dettagli diversi dal solito, che tanto l'Opera House sapete tutti com'è.
Una tappa della Foreshore walk From Coggee to Maroubra Quando Photoshop non serve e il tuo credo ateo vacilla "Penso proprio che Dio ha un bell'impianto luci" Questa è la periferia nord di Sydney, Cinisello Balsamo per interderci Questa invece è la vista dalla circonvalla, Viale Tibaldi o Viale Toscana, fate voi La pace di Pyrmont
L'ANZAC Bridge, sullo sfondo, regge bene il confronto col fratello maggiore
Una domenica sono anche andato a fare una gita fuori porta con tre amici/e alle Blue Mountains, che blu lo sono davvero. Infatti l'evaporazione dell'olio di eucalipto rende lo sfondo azzurognolo, che ricorda un po' quello della Vergine delle Rocce del Leo, quando aveva iniziato a teorizzare l'uso della prospettiva aerea. Il simbolo delle montagne blu sono le Three Sisters, al secolo Meehni, Wimlah e Gunnedoo, trasformate in speroni di pietra da un mago per proteggerle dalle avances dei maschi di un tribù locale. Sfiga volle che il mago passò a miglior vita prima di ritrasfmormare le tre sorelline in esseri umani, regalando, loro malgrado, l'immortalità. Che Meehni, Wimlah e Gunnedoo non me ne vogliano, ma è difficile pensare che in vita avrebbero potuto essere più ammirate ed amate che in questa nuova loro sembianza:
Meehni, Wimlah e Gunnedoo
Ora vi ho aggiornati su il mio ultimo mese e mezzo. Spero di essere più puntuale per il prossimo aggiornamento. Chiudo con una foto di una festa in maschera della settimana scorsa. Solo perchè voglio che appreziate il baffo.
That's all folks!
Chi non viene sul blog non combatterà mai i suoi mulini in sella al Ronzinante di turno.
Vi devo delle giustificazioni: aprile è stato un mese un po' movimentato per ragioni che vi spiegherò a breve. Ma andiamo con un ordine monotonamente e banalmente cronologico per raccontare il mio secondo "autunno" da un anno a sta parte.
From Brisbane to Cairns o "Ronzinante, i piedipiatti del Queensland e altre storie"
Quando ci eravamo lasciati, l'invasione extremeña era alle porte e si è finalmente concretizzata all'alba del 30 marzo, quando ho recuperato in aeroporto una persona decisamente provata dall'essere stata per le precedenti 20 ore seduta su un sedile targato Qantas. I primi giorni sono stati romanticamente trascorsi all'insegna del turismo Sydneyano, finchè, la mattina del fool's day, dopo 15 ore di autobus, i nostri sono arrivati a Brisbane per iniziare il pellegrinaggio verso nord.
Siccome so che molti di voi non masticano la geografia di quaggiù, il nostro itinerario è stato il seguente:
So che è una banalità immensa, ma credetemi: non si riesce a capire quanto sia grande questo paese finchè non s'imbocca una delle sue autostrade e ci si rende conto delle distanze che vi sono tra un posto è un altro. Se poi il van che hai noleggiato si incazza quando arrivi a sfiorare i 90 all'ora, i tempi di percorrenza sembrano veramente infiniti.
Ah già, il van. Viste l'ispanicità di metà dei viaggiatori e le caratteristiche del mezzo, il nostro sobrio van non poteva essere battezzato in altro modo che Ronzinante (Rocinante per gli hispanohablantes). Per quanto concerne la sobrietà, nessuna descrizione può essere più esplicativa che una rappresentazione visiva del nostro nobile destriero.
Già la prima sera Ronzinante ci ha fatto capire di che pasta era fatto. Nel mazzo consegnatoci dall'autonoleggio vi erano due chiavi: una per il motore e il baule, l'altra per le due porte anteriori e quella laterale. Il perchè di questa scelta da parte della Mitsubishi mi è ignoto, ma ho subito risolto il problema di una potenziale confusione tra le chiavi, rompendo la chiave delle tre porte la prima sera. Risultato: una settimana di viaggio entrando dal baule (freudianamente si potrebbe pensare che Ronzinante non voleva terminare la sua fase anale infantile).
I primi due giorni potrebbero essere categorizzati sotto il titolo "No parking here". Infatti a Brisbane ci siamo beccati (mea culpa) AUD50 di multa per divieto di sosta (che non verrà mai pagata, essendosi persa per strada, lasciandomi così un debito nei confronti della giustizia del Queensland). La mattina seguente, invece, la polizia di Noosa Heads ci svegliava, ben prima delle 7, con dei teneri pugni sul lato di Ronzinante per intimarci gentilmente a lasciare il parcheggio in riva al mare che avevamo adibito a nostro domicilio temporaneo. Evvabbè.
Ma che quelli della polizia del Queensland siano dei gran burloni è una cosa arcinota. Il che è stato confermato anche dal test del palloncino che ho dovuto subire alle 11 del mattino in un paesino sperduto. Per fortuna avevo sospeso temporaneamente la mia colazione a base di Sambuca e Pan di Stelle, altrimenti sarebbero stati bitter dicks.
Ma torniamo al viaggio. La costa del Queensland è piena di perle. Oltre all'inflazionata Fraser Island (il cui lago Mckenzie però vale una visita), ho lasciato una parte del mio cuore a 1770 (sì è il nome), sede di un non di certo tradizionale pranzo pasquale. Ma soprattutto 1770 è un gioiellino la cui spiaggia è protetta dall'arroganza delle onde del Pacifico da una lingua di sabbia, grande sufficiente a rendere il movimento delle onde sulla riva più simile a quello di una vasca da bagno che a quello di una spiaggia su un oceano che non è poi così pacifico come il nome vorrebbe far credere.
L'altro pezzo di cuore l'ho lasciato invece a Magnetic Island (sarà anche per il fatto che il suo soprannome, Maggie, lo aiuta a farsi amare). Questa isoletta, fuori dai pricipali giri turistici, vanta, oltre alla più copiosa comunità di koala australiana, delle spiagge come questa o questa. (Mi scuso con chi di voi non ha Facebook, ma non sapevo che Flickr avesse un massimo di foto uploadabili e mi hanno fatto capire che "no money, no photo").
Il grande rimpianto del viaggio è non essere riuscito ad andare a vedere la Barriera Corallina (quella grande). Per andarci avremmo dovuto arrivare a Cairns con due giorni di anticipo ma, citando il gruppo capitanato da Stefano Belisari, tra il dire e il fare c'è di mezzo "e il". Quindi, anche per non sovraffaticare Ronzinante, indebolito dal clima dei tropici, abbiamo deciso di rinunciare. Ma, come dice Vitto, bisogna sempre lasciarsi qualcosa da vedere per aver la scusa di tornare.
Quindi, arrivati a Cairns, bye bye Ronzinante, che pure ci aveva difeso bene dalla nostra lotta contro i mulini a vento, (nella fattispecie rappresentati dai camion con rimorchio più veloci di noi che riempivano la Bruce Highway), volo Jet Star, bye bye Terra della Regina, welcome back Nuovo Galles del Sud, per trascorrere gli ultimi giorni di invasione ispanica più noiosamente a Sydney, senza dover ricorrere ad una bombola a gas per cucinare la cena.
Purtroppo però poi è arrivato anche il giorno di San Zeno, patrono scaligero, che per il 2010 per me ha significato la fine dell'invasione australiana da parte della piccola comitiva iberica. (Si richiede sospiro di tenerezza da parte del lettore).
L'autunno di Sydney o "Vagabondaggio 2.0 e altre storie"
Quello che però non mi immaginavo, era che le avventure di aprile erano solamente iniziate. Infatti, dovete sapere che il vostro beniamino, in un'opera di contorsionismo diplomatico, era riuscito a convincere il suo landlord (padrone di casa, per i meno avvezzi alla lingua della regina Elisabetta), a sospendere il pagamento dell'affitto per le due settimane di viaggio, muovendomi dalla singola alla tripla al termine delle stesse. Il landlord lì per lì aveva acconsentito, facendomi partire per il viaggio sicuro di avere un tetto al mio ritorno. Invece quel son of a bitch (messa in discussione dell'onorabilità del lavoro della madre del landlord, sempre per i meno anglofoni) mi ha comunicato, a due giorni dal mio ritorno a Sydney, che non sarei potuto tornare nella Casa.
In quel momento è iniziata ufficialmente la mia pricipale attività dell'aprile 2010: il vagabondare ancora una volta alla ricerca di un tetto. Non ci crederete, ma avevo quasi bisogno di questa instabilità abitativa. Infatti, in primo luogo mi ha fatto tornare a Kings Cross per un paio di settimane, in un ostello però decisamente migliore a quello di febbraio. Poi, sembra incredibile, ma stando in un ostello e condividendo la stanza con altre 9 persone avevo decisamente più privacy e più tempo per me che quando stavo nella Casa. Infine, dopo le due settimane in Kings Cross, ho passato una settimana a fare il beato tra le donne, dormendo sul divano di una casa abitate da Ilaria e Margherita, due mie amiche toscane, nonchè da Hannah, Jennifer, Moony, Jessica e Jordan, quattro ragazze (più un ragazzo) di Seattle; quindi non posso di certo lamentarmi.
Finalmente, il primo di maggio, sono arrivato in quella che dovrebbe essere la mia sistemazione definitiva. Se volete mandarmi lettere d'amore, di odio, lettere all'antrace o pacchi bomba, ora dovete spedirli all'87 di Darlington Road, Darlington NSW 2008. Ora condivido il tetto con un triatleta galiziano aspirante giornalista e con un trentatreenne ingegnere navale singaporegno, vegetariano per coerenza con la sua religione indù, che non permette di fare del male a nessun essere vivente.
Sydney e zone limitrofe o "Una città dove anche la circonvallazione ha qualcosa di poetico e altre storie"
Questa città ti fa innamorare di sé in maniera esponenzialmente proporzionale al tempo che vi si trascorre. Non riesci a stufarti di Sydney. O meglio, puoi se non ti sforzi di scoprirla. Perchè se ti basi solo su quanto dice la Lonely Planet, fai delle belle foto davanti all'Opera House o all'Harbour Bridge da far vedere agli amici, però non puoi dire di conoscere Sydney. Non posso certo dire di conoscere la città, ma sto facendo del mio meglio per non farmi sfuggire i dettagli che rendono il quadro così affascinante.
É per questo che vi metto qui sotto un paio di foto qui sotto. Così magari vi vedete un paio di dettagli diversi dal solito, che tanto l'Opera House sapete tutti com'è.
Una tappa della Foreshore walk From Coggee to Maroubra Quando Photoshop non serve e il tuo credo ateo vacilla "Penso proprio che Dio ha un bell'impianto luci" Questa è la periferia nord di Sydney, Cinisello Balsamo per interderci Questa invece è la vista dalla circonvalla, Viale Tibaldi o Viale Toscana, fate voi La pace di Pyrmont
L'ANZAC Bridge, sullo sfondo, regge bene il confronto col fratello maggiore
Una domenica sono anche andato a fare una gita fuori porta con tre amici/e alle Blue Mountains, che blu lo sono davvero. Infatti l'evaporazione dell'olio di eucalipto rende lo sfondo azzurognolo, che ricorda un po' quello della Vergine delle Rocce del Leo, quando aveva iniziato a teorizzare l'uso della prospettiva aerea. Il simbolo delle montagne blu sono le Three Sisters, al secolo Meehni, Wimlah e Gunnedoo, trasformate in speroni di pietra da un mago per proteggerle dalle avances dei maschi di un tribù locale. Sfiga volle che il mago passò a miglior vita prima di ritrasfmormare le tre sorelline in esseri umani, regalando, loro malgrado, l'immortalità. Che Meehni, Wimlah e Gunnedoo non me ne vogliano, ma è difficile pensare che in vita avrebbero potuto essere più ammirate ed amate che in questa nuova loro sembianza:
Meehni, Wimlah e Gunnedoo
Ora vi ho aggiornati su il mio ultimo mese e mezzo. Spero di essere più puntuale per il prossimo aggiornamento. Chiudo con una foto di una festa in maschera della settimana scorsa. Solo perchè voglio che appreziate il baffo.
That's all folks!
Chi non viene sul blog non combatterà mai i suoi mulini in sella al Ronzinante di turno.
martedì 13 aprile 2010
lunedì 29 marzo 2010
Easter holidays!
RDU sarà assente per le prossime due settimane. Motivo: far fronte all'invasione verde, blanco y negra.
Buona Pasqua a tutti.
Buona Pasqua a tutti.
venerdì 26 marzo 2010
Il secondo miracolo di St. Patrick o "Goodbye sofa e altre storie"
E venne il giorno di St. Patrick.
Dopo questo giorno la Casa (la c maiuscola è un modo per far rendere meglio le dimensioni della stessa) non sarebbe stata più la stessa.
Io avevo lezione fino alle 9. Ciò significa che quando io stavo chiudendo l'astuccio, erano già tre ore che i miei coinquilini ci davano dentro con il goon, il parente più prossimo del Tavernello in Australia. Esatto. Vino nel cartone. O meglio, in un sacchetto di plastica all'interno di una scatola di cartone. Qui sembra non ci possa essere una festa senza l'immancabile goon.
Ma andiamo avanti.
Dopo l'università, raggiungo i miei molteplici coinquilini in un pub pieno di gente vestita di verde, perchè siamo tutti un po' più irlandesi oggi. Qui si balla e si sbevazza un altro po', finchè verso le 2 la festa non si trasferisce a Casa.
Tolti quelli che si sono ritirati nelle rispettive stanze per fini riproduttivi, i restanti hanno continuato a fare baldoria nel salotto. Però c'è un finchè. Finchè infatti un cileno non ha ben deciso di emulare il Bill Murray di Ghostbuster, giocando con l'estintore nel suddetto salotto, rendendolo inagibile. (Tra l'altro, scena bellissima: in un salotto con la visibilità limitata a causa della polvere dell'estintore, solo una figura emergeva dalla nebbia: un francesce sbronzo che, come se non stesse succedendo niente, continuava stoicamente a preparare il suo narghilè della buonanotte). Vabbè direte. Festa un po' più movimentata del solito, ma niente di che.
Ma il bello è successo a festa terminata. La mattina dopo infatti, quando già nella casa la parola hangover aveva iniziato a rieccheggiare, il padrone di casa è arrivato e, senza proferire parola con nessuno, ha segato il salotto a metà. Letteralmente. Ha iniziato con i divani e ha concluso in bellezza col tavolino. Poi ha caricato le carcasse dei divani nel furgone e ci ha lasciato il salotto vuoto.
Dopo un breve momento di sconforto, la Casa ha reagito.
Alcuni dei miei coinqulini, decisi a ripristinare l'amato luogo di aggregazione, hanno girato per le strade del quartiere a cercare divani e poltrone destinati alla discarica. Et voilà. Ecco un salotto nuovo di zecca. L'aspetto più inquietante è che i mobili trovati per strada erano molto più belli (e più puliti) di quelli pre-St. Patrick. Immaginate la mia faccia dal ritorno dall'università alla vista di un divano di pelle che fino a qualche ora prima non c'era.
Purtroppo il padrone di casa non ha apprezzato, e la mattina seguente ci ha nuovamente svuotato il salotto.
Se non si pagasse l'affitto, sembrerebbe di vivere in una di quelle case occupate, dove gli inquilini devono difendersi dagli attacchi del legittimo proprietario.
E così ecco il secondo miracolo di San Patrizio: dopo aver cacciato i serpenti dall'Irlanda, ha cacciato i mobili dal nostro salotto.
Una cosa è però certa: al di là di tutto, al 91 di Old South Head Road non ci si annoia.
Chi non viene sul blog non berrà mai goon nell'ultimo giorno di un divano già sfasciato.
Dopo questo giorno la Casa (la c maiuscola è un modo per far rendere meglio le dimensioni della stessa) non sarebbe stata più la stessa.
Io avevo lezione fino alle 9. Ciò significa che quando io stavo chiudendo l'astuccio, erano già tre ore che i miei coinquilini ci davano dentro con il goon, il parente più prossimo del Tavernello in Australia. Esatto. Vino nel cartone. O meglio, in un sacchetto di plastica all'interno di una scatola di cartone. Qui sembra non ci possa essere una festa senza l'immancabile goon.
Ma andiamo avanti.
Dopo l'università, raggiungo i miei molteplici coinquilini in un pub pieno di gente vestita di verde, perchè siamo tutti un po' più irlandesi oggi. Qui si balla e si sbevazza un altro po', finchè verso le 2 la festa non si trasferisce a Casa.
Tolti quelli che si sono ritirati nelle rispettive stanze per fini riproduttivi, i restanti hanno continuato a fare baldoria nel salotto. Però c'è un finchè. Finchè infatti un cileno non ha ben deciso di emulare il Bill Murray di Ghostbuster, giocando con l'estintore nel suddetto salotto, rendendolo inagibile. (Tra l'altro, scena bellissima: in un salotto con la visibilità limitata a causa della polvere dell'estintore, solo una figura emergeva dalla nebbia: un francesce sbronzo che, come se non stesse succedendo niente, continuava stoicamente a preparare il suo narghilè della buonanotte). Vabbè direte. Festa un po' più movimentata del solito, ma niente di che.
Ma il bello è successo a festa terminata. La mattina dopo infatti, quando già nella casa la parola hangover aveva iniziato a rieccheggiare, il padrone di casa è arrivato e, senza proferire parola con nessuno, ha segato il salotto a metà. Letteralmente. Ha iniziato con i divani e ha concluso in bellezza col tavolino. Poi ha caricato le carcasse dei divani nel furgone e ci ha lasciato il salotto vuoto.
Dopo un breve momento di sconforto, la Casa ha reagito.
Alcuni dei miei coinqulini, decisi a ripristinare l'amato luogo di aggregazione, hanno girato per le strade del quartiere a cercare divani e poltrone destinati alla discarica. Et voilà. Ecco un salotto nuovo di zecca. L'aspetto più inquietante è che i mobili trovati per strada erano molto più belli (e più puliti) di quelli pre-St. Patrick. Immaginate la mia faccia dal ritorno dall'università alla vista di un divano di pelle che fino a qualche ora prima non c'era.
Purtroppo il padrone di casa non ha apprezzato, e la mattina seguente ci ha nuovamente svuotato il salotto.
Se non si pagasse l'affitto, sembrerebbe di vivere in una di quelle case occupate, dove gli inquilini devono difendersi dagli attacchi del legittimo proprietario.
E così ecco il secondo miracolo di San Patrizio: dopo aver cacciato i serpenti dall'Irlanda, ha cacciato i mobili dal nostro salotto.
Una cosa è però certa: al di là di tutto, al 91 di Old South Head Road non ci si annoia.
Chi non viene sul blog non berrà mai goon nell'ultimo giorno di un divano già sfasciato.
domenica 21 marzo 2010
Tasmania o "Lotte con opossum per la cena e altre avventure, stavolta rigorosamente on the road"
I'm back.
Dopo un lungo silenzio cybernautico, eccomi di nuovo tra voi, insaziabili lettori. E ovviamente, sono qui per parlare del mio viaggio in quell'isola che nelle cartine dell'Australia è in basso a destra.
Visto che suppongo che molti di voi non siano molto ferrati sulla geografia della Tasmania vi metto qui sotto un'immagine con l'itinerario che io e Salvador abbiamo fatto a bordo del nostro mitico DevilCampervan (Google Maps stima i chilometri per difetto però, alla fine del viaggio il contachilometri segnava 1244).
Ma andiamo con ordine.
Che la Tasmania non è un'isola come le altre lo capisci solo guardando la sua cartina geografica: infatti, nello stradario prestatoci dall'autonoleggio, oltre ai vari luoghi di interesse, punti panoramici e amenità varie, venivano riportati i nomi e le date di tutte le navi affondate al largo delle coste della Tasmania. Sembra che ogni spiaggia possa vantare un relitto. Ma il passato torbido di questo ex covo di balenieri non riesce in alcun modo a minare la bellezza di quest'isola.
É stata breve, ma è stata esattamente il tipo di vacanza che avevo intenzione di fare: farsi rapire dalle bellezze naturali di questa nazione, nell'unico modo che ti permette di farlo, viaggiando on the road, con un itinerario in testa ma non definito, non sapendo la mattina dove si sarebbe arrivati la sera. Cinque giorni sono effettivamente pochi. Quest'isola sarebbe in grado di assorbire le tue attenzioni per un mese e più senza stancarti mai. Perchè, per un territorio relativamente così ridotto, la Tasmania ti offre gli ecosistemi più vari: dalle spiagge tipo Fiji, alle montagne tipo Svizzera, passando per foreste pluviali temperate, laghi e brughiere. Se si viaggia in macchina significa continuare a fermarsi per non perdersi dei paesaggi da sogno. E ti catturano a tal punto, che quando ti allontani non riesci a fare a meno di rimirarli dallo specchietto retrovisore.
Come prima cosa atterrati all'aeroporto di Hobart, io e il mio travelbuddy catalano siamo andati a recuperare quello che sarebbe stato il nostro nobile destriero nei giorni a seguire: un van Mitsubishi che ha visto tante storie ma non sembra essere stanco di mordere la strada.
E poi via verso sud-est, direzione Port Arthur, un ex colonia detentiva inglese, alla quale erano destinati i galeotti peggiori, quelli che non meritavano neppure di essere relegati in Australia. Questa prima tappa forse è stata la più deludente del viaggio, soprattutto per il fatto che il livello di conservazione di queste prigioni è molto peggiore della maggior parte degli edifici romani che ho avuto modo di visitare. Però non fa niente, almeno ci siamo tolti subito l'unica attrazione storica dell'isola.
A Port Arthur ho anche percorso i miei primi chilometri di guida a destra. Il dj di una radio locale mi ha infilato di seguito "Start me up" e "Born to run", non avrebbe potuto scegliere una colonna sonora migliore per il mio esordio al volante australiano. Sono sicuro che il mio Ipod l'ha condizionato da distante. Onestamente pensavo che avrei avuto più difficoltà a guidare. Invece, dopo i primi due minuti dove ti senti un po' spaesato, vai via tranquillamente. Poi il non traffico delle strade tasmaniane rende tutto più facile.
Un aspetto delle strade che non fai a meno di notare è il numero di animali morti che si incontrano. Ogni giorno contavamo decine e decine di carcasse di wallabies, opossum e roditori vari che sono stati attirati per l'ultima dalle luci di una macchina. Infatti qui guidare di notte è sconsigliato da chiunque. Perchè se investi un opossum, pace all'anima sua, ma se lo sventurato attraversatore è invece un canguro, pace all'anima sua e a quella della macchina.
Nonostante io continuassi a guardarmi intorno per cercare di vedere i canguri, il primo animale che sono riuscito a vedere in libertà è stato un emu, una specie di struzzo che c'è da queste parti. Nei giorni a seguire la lista degli animali che sono riuscito a vedere nel loro habitat naturale si è allungata, arrivando a comprendere un paio di echidna, il cugino locale del porcospino, parecchi wallaby, che non sono altro che canguri bonsai, opossum, di cui vi racconterò meglio più tardi e il più figo di tutti, ladies and gentlemen, nientepocodimenoche mister ornitorinco. Avete presente quegli animali esotici che ti incuriosiscono da bambino, ma che poi non senti più nominare, come l'armadillo, il formichiere o lo gnu? Che pensi che non riuscirai mai a vedere, perchè non sono popolari come altri animali tropicali più mainstream che riempono i nostri zoo? L'ornitorinco era uno di questi. É un incrocio mal riuscito tra un'anatra e una lontra e dicono sia molto difficile da avvistare, perchè, come tutti sappiamo, l'ornitorinco è un timido. I did it e la regressione ad una felicità quasi infantile successiva, ne è stata la naturale conseguenza.
Ma torniamo al primo giorno.
La sera siamo arrivati a Coles Bay, ultimo paese prima del parco naturale di Freycinet, appena in tempo per goderci questo. Che non poteva non essere accompagnato da questo.
E anche la prima notte nel van sul ciglio della strada è andato benone, nonostanze l'inesperienza.
Il secondo giorno è stato quello della visita al parco naturale di Freycinet, che è famoso soprattutto per questa spiaggia, nominata spesso tra le migliori al mondo. La spiaggia si chiama Wineglass Bay e, nonostante l'aspetto paradisiaco, nasconde più di uno scheletro nell'armadio. Qui infatti, prima che l'Australia ne proibisse la caccia, centinaia di balene sono state ammazzate. E il colore del loro sangue ha dato il nome alla baia. Ora però le balene sembrano essersi dimenticate di cosa succedeva qui, tant'è che, durante le loro migrazioni, sono solite fare una pausa qui, per riposarsi un po' e darsi una ripulita con la sabbia del fondale. D'altronde, come biasimarle?
Sarà poi che qui l'estate è agli sgoccioli, sarà che per arrivare serve più di un'ora di cammino, però il numero di persone che si incontrano in questa spiaggia ti lascia forse ancora più sbalordito che la spiaggia stessa. Un bel chilometro di sabbia finissima da condividere con al più 15 persone. Non solo in questa, ma in tutte le spiagge che abbiamo visto in Tasmania, i bagnanti si contavano sulle dita di due mani (quando ce ne sono). Ogni tanto provavo a pensare a cosa ne sarebbe stato in Italia di un posto simile e mi immaginavo hotel, villaggi turistici, bagni attrezzati, palazzine di cemento costruite negli anni sessanta e signore di mezza età intente a fare acquagym al ritmo di qualche motivetto latino. Qui hanno creato un parco naturale per preservare la bellezza del posto. Che se non hai una barca, l'unico modo per raggiungere la spiaggia è attraversare un bosco popolato da wallaby, pappagalli e gallinelle di mare. Che l'unico vicino di asciugamano che ti dà delle noie, è un gabbiano che tenta di fregarti un panino. Che se proprio devi sentire qualche rumore fastidioso, è il verso della cornacchia in sottofondo. Che poi se te ne vieni qui nel periodo giusto, ti puoi anche fare un picnic in spiaggia guardando le balene.
Ma la Tasmania non è un caso isolato, perchè tutta l'Australia deve essere così. Basti pensare a Bondi Beach, che nonostante sia la spiaggia più turistica di Sydney e conti ogni giorno centinaia di bagnanti, non ha il suo entroterra più prossimo rovinato da ecomostri o da palazzine a quindici piani. Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare.
La seconda sera siamo arrivati a dormire in un campeggio attrezzato (anche gli esploratori più selvaggi ogni tanto non disdegnano farsi una doccia) nei pressi di St. Helens. Per essere pronti a visitare la mattina dopo Binalong Bay e Bay of Fires (date un'occhiata alle foto), dove non sembra il paesaggio sia cambiato molto da quando James Cook è sbarcato in Australia. Poi, dopo aver visitato un pezzo di foresta pluviale temperata con tanto di cascate (le Columba Falls, le più alte dell'isola), siamo arrivati a Launceston, la seconda città dell'isola. Famosa soprattutto per questo, un laghetto artificiale dove ci si può fare una nuotatina finito al lavoro, tra gli immancabili wallaby e i non proprio autoctoni pavoni.
Ma forse è stato il quarto giorno il mio preferito. Lasciataci Launceston alle spalle, ci siamo diretti verso sud-ovest, in direzione dei grandi parchi naturali, attraversando delle zone che dire incontaminate non rende pienamente l'idea. Perchè quest'isola che è due volte e mezzo la Sicilia, ma ha poco più gli abitanti della provincia di Trapani, per lo più concentrati nelle due cittadine principali, è indubbiamente il posto migliore per chi vuole far perdere le sue tracce o ama la solitudine. In questi cinque giorni il mio cellulare ha funzionato solo nelle zone intorno a Hobart e a Launceston, per il resto non c'è mai stato campo. Paesi confinanti da 500-1000 abitanti a una mezz'ora di distanza l'uno dall'altro. Strade come questa. Per questo ho scritto all'inizio che solo viaggiando on the road riesci a cogliere lo spirito di questi posti. Anche perchè se dopo 3 ore al volante su strade che da noi verrebbero chiamate statali, ma che qui ottengono il titolo di highway, ti imbatti in un posto come The Hungry Wombat e mangi il miglior hamburger della tua vita, capisci che il gioco vale eccome la candela.
In questo quarto giorno abbiamo visto il Lake St. Clair, che è il punto d'arrivo dell'Overland Track, un percorso di trekking di 80km nel più grande parco naturale della Tasmania. Magari il prossimo viaggio in Tasmania si fa.
La sera siamo andati a dormire in un campeggio nel parco di Mt. Field, dove, andando a vedere le cascate Russell, ci siamo imbattuti nel sopraccitato ornitorinco, nonchè in numerosi wallaby intenti a cenare.
Ma è stata la nostra cena a regalarci il contatto più ravvicinato col mondo animale. Infatti, io e Salvador avevamo deciso finalmente di utilizzare il fornelletto a gas in dotazione per farci un'italianissima pasta. Ignorando però che gli opossum gradissero la cucina mediterranea. La lotta per la difesa del nostro cibo è stata all'ultimo sangue. Le fasi salienti dell'incontro sono state: il fischio d'inizio, lo scontro, il verdetto. Il tutto accompagnato da un sessantenne neozelandese in partenza per l'Overland track che ci narrava delle sue avventure sessuali nelle Filippine. La parte degli opossum è stata però divertente (la seconda un po' meno).
L'ultimo giorno, prima di tornare nella civiltà, siamo andati a un centro per animali orfani o sfigati: una specie di zoo per vedere gli animali che non eravamo riusciti a vedere in the wild. Ed ecco quindi koala (nella prossima vita voglio essere un koala, l'animale più pacifico di questa terra), wombat e la star della casa, il diavolo della Tasmania. Che poi chiamare diavolo un orsetto non più alto di 30 centimetri è stato un colpo basso; però è anche vero che non sembra in grado di stare fermo un secondo, come fosse, per l'appunto, indiavolato.
Ultima tappa del viaggio quindi a Hobart, la capitale. Niente di eccezionale. Uniche cose degne di nota: la piazza principale, più che altro per il nome, Salamanca square, che ti fa venire voglia di cercare le tapas del bar Tevere, ma che ahimé con la Castilla y Leon ha poco a che fare; seconda cosa, il buon fish&chips preso al porto la sera.
Quest'isola ti lascia la voglia di tornare per stare più a lungo. Per camminare. Per pescare nelle decine di laghi e fiumi. Per uscire dal mondo per qualche tempo.
Non sono riuscito a vedere quella che dicono sia la montagna più bella della Tasmania. Un mio amico dice che non bisogna mai vedere tutto di un posto, così si ha la scusa per tornare. Lo spero o, come si dice qui, hopefully, che rende più l'idea di come sia pieno di speranza.
Ora vi lascio, spero di avervi lasciato la voglia di valutare la Tasmania come possibile meta.
La prossima volta vi racconto di St. Patrick e della bolgia che è casa mia.
Chi non viene sul blog, avrà vita difficile in uno scontro uomo vs. opossum!
PS. Per chi non conosce bene Flickr, consiglio di vedere le foto della Tasmania cliccando qui e poi in alto a destra su slideshow. Almeno potete vederle grandi e in ordine.
Dopo un lungo silenzio cybernautico, eccomi di nuovo tra voi, insaziabili lettori. E ovviamente, sono qui per parlare del mio viaggio in quell'isola che nelle cartine dell'Australia è in basso a destra.
Visto che suppongo che molti di voi non siano molto ferrati sulla geografia della Tasmania vi metto qui sotto un'immagine con l'itinerario che io e Salvador abbiamo fatto a bordo del nostro mitico DevilCampervan (Google Maps stima i chilometri per difetto però, alla fine del viaggio il contachilometri segnava 1244).
Ma andiamo con ordine.
Che la Tasmania non è un'isola come le altre lo capisci solo guardando la sua cartina geografica: infatti, nello stradario prestatoci dall'autonoleggio, oltre ai vari luoghi di interesse, punti panoramici e amenità varie, venivano riportati i nomi e le date di tutte le navi affondate al largo delle coste della Tasmania. Sembra che ogni spiaggia possa vantare un relitto. Ma il passato torbido di questo ex covo di balenieri non riesce in alcun modo a minare la bellezza di quest'isola.
É stata breve, ma è stata esattamente il tipo di vacanza che avevo intenzione di fare: farsi rapire dalle bellezze naturali di questa nazione, nell'unico modo che ti permette di farlo, viaggiando on the road, con un itinerario in testa ma non definito, non sapendo la mattina dove si sarebbe arrivati la sera. Cinque giorni sono effettivamente pochi. Quest'isola sarebbe in grado di assorbire le tue attenzioni per un mese e più senza stancarti mai. Perchè, per un territorio relativamente così ridotto, la Tasmania ti offre gli ecosistemi più vari: dalle spiagge tipo Fiji, alle montagne tipo Svizzera, passando per foreste pluviali temperate, laghi e brughiere. Se si viaggia in macchina significa continuare a fermarsi per non perdersi dei paesaggi da sogno. E ti catturano a tal punto, che quando ti allontani non riesci a fare a meno di rimirarli dallo specchietto retrovisore.
Come prima cosa atterrati all'aeroporto di Hobart, io e il mio travelbuddy catalano siamo andati a recuperare quello che sarebbe stato il nostro nobile destriero nei giorni a seguire: un van Mitsubishi che ha visto tante storie ma non sembra essere stanco di mordere la strada.
E poi via verso sud-est, direzione Port Arthur, un ex colonia detentiva inglese, alla quale erano destinati i galeotti peggiori, quelli che non meritavano neppure di essere relegati in Australia. Questa prima tappa forse è stata la più deludente del viaggio, soprattutto per il fatto che il livello di conservazione di queste prigioni è molto peggiore della maggior parte degli edifici romani che ho avuto modo di visitare. Però non fa niente, almeno ci siamo tolti subito l'unica attrazione storica dell'isola.
A Port Arthur ho anche percorso i miei primi chilometri di guida a destra. Il dj di una radio locale mi ha infilato di seguito "Start me up" e "Born to run", non avrebbe potuto scegliere una colonna sonora migliore per il mio esordio al volante australiano. Sono sicuro che il mio Ipod l'ha condizionato da distante. Onestamente pensavo che avrei avuto più difficoltà a guidare. Invece, dopo i primi due minuti dove ti senti un po' spaesato, vai via tranquillamente. Poi il non traffico delle strade tasmaniane rende tutto più facile.
Un aspetto delle strade che non fai a meno di notare è il numero di animali morti che si incontrano. Ogni giorno contavamo decine e decine di carcasse di wallabies, opossum e roditori vari che sono stati attirati per l'ultima dalle luci di una macchina. Infatti qui guidare di notte è sconsigliato da chiunque. Perchè se investi un opossum, pace all'anima sua, ma se lo sventurato attraversatore è invece un canguro, pace all'anima sua e a quella della macchina.
Nonostante io continuassi a guardarmi intorno per cercare di vedere i canguri, il primo animale che sono riuscito a vedere in libertà è stato un emu, una specie di struzzo che c'è da queste parti. Nei giorni a seguire la lista degli animali che sono riuscito a vedere nel loro habitat naturale si è allungata, arrivando a comprendere un paio di echidna, il cugino locale del porcospino, parecchi wallaby, che non sono altro che canguri bonsai, opossum, di cui vi racconterò meglio più tardi e il più figo di tutti, ladies and gentlemen, nientepocodimenoche mister ornitorinco. Avete presente quegli animali esotici che ti incuriosiscono da bambino, ma che poi non senti più nominare, come l'armadillo, il formichiere o lo gnu? Che pensi che non riuscirai mai a vedere, perchè non sono popolari come altri animali tropicali più mainstream che riempono i nostri zoo? L'ornitorinco era uno di questi. É un incrocio mal riuscito tra un'anatra e una lontra e dicono sia molto difficile da avvistare, perchè, come tutti sappiamo, l'ornitorinco è un timido. I did it e la regressione ad una felicità quasi infantile successiva, ne è stata la naturale conseguenza.
Ma torniamo al primo giorno.
La sera siamo arrivati a Coles Bay, ultimo paese prima del parco naturale di Freycinet, appena in tempo per goderci questo. Che non poteva non essere accompagnato da questo.
E anche la prima notte nel van sul ciglio della strada è andato benone, nonostanze l'inesperienza.
Il secondo giorno è stato quello della visita al parco naturale di Freycinet, che è famoso soprattutto per questa spiaggia, nominata spesso tra le migliori al mondo. La spiaggia si chiama Wineglass Bay e, nonostante l'aspetto paradisiaco, nasconde più di uno scheletro nell'armadio. Qui infatti, prima che l'Australia ne proibisse la caccia, centinaia di balene sono state ammazzate. E il colore del loro sangue ha dato il nome alla baia. Ora però le balene sembrano essersi dimenticate di cosa succedeva qui, tant'è che, durante le loro migrazioni, sono solite fare una pausa qui, per riposarsi un po' e darsi una ripulita con la sabbia del fondale. D'altronde, come biasimarle?
Sarà poi che qui l'estate è agli sgoccioli, sarà che per arrivare serve più di un'ora di cammino, però il numero di persone che si incontrano in questa spiaggia ti lascia forse ancora più sbalordito che la spiaggia stessa. Un bel chilometro di sabbia finissima da condividere con al più 15 persone. Non solo in questa, ma in tutte le spiagge che abbiamo visto in Tasmania, i bagnanti si contavano sulle dita di due mani (quando ce ne sono). Ogni tanto provavo a pensare a cosa ne sarebbe stato in Italia di un posto simile e mi immaginavo hotel, villaggi turistici, bagni attrezzati, palazzine di cemento costruite negli anni sessanta e signore di mezza età intente a fare acquagym al ritmo di qualche motivetto latino. Qui hanno creato un parco naturale per preservare la bellezza del posto. Che se non hai una barca, l'unico modo per raggiungere la spiaggia è attraversare un bosco popolato da wallaby, pappagalli e gallinelle di mare. Che l'unico vicino di asciugamano che ti dà delle noie, è un gabbiano che tenta di fregarti un panino. Che se proprio devi sentire qualche rumore fastidioso, è il verso della cornacchia in sottofondo. Che poi se te ne vieni qui nel periodo giusto, ti puoi anche fare un picnic in spiaggia guardando le balene.
Ma la Tasmania non è un caso isolato, perchè tutta l'Australia deve essere così. Basti pensare a Bondi Beach, che nonostante sia la spiaggia più turistica di Sydney e conti ogni giorno centinaia di bagnanti, non ha il suo entroterra più prossimo rovinato da ecomostri o da palazzine a quindici piani. Da questo punto di vista abbiamo molto da imparare.
La seconda sera siamo arrivati a dormire in un campeggio attrezzato (anche gli esploratori più selvaggi ogni tanto non disdegnano farsi una doccia) nei pressi di St. Helens. Per essere pronti a visitare la mattina dopo Binalong Bay e Bay of Fires (date un'occhiata alle foto), dove non sembra il paesaggio sia cambiato molto da quando James Cook è sbarcato in Australia. Poi, dopo aver visitato un pezzo di foresta pluviale temperata con tanto di cascate (le Columba Falls, le più alte dell'isola), siamo arrivati a Launceston, la seconda città dell'isola. Famosa soprattutto per questo, un laghetto artificiale dove ci si può fare una nuotatina finito al lavoro, tra gli immancabili wallaby e i non proprio autoctoni pavoni.
Ma forse è stato il quarto giorno il mio preferito. Lasciataci Launceston alle spalle, ci siamo diretti verso sud-ovest, in direzione dei grandi parchi naturali, attraversando delle zone che dire incontaminate non rende pienamente l'idea. Perchè quest'isola che è due volte e mezzo la Sicilia, ma ha poco più gli abitanti della provincia di Trapani, per lo più concentrati nelle due cittadine principali, è indubbiamente il posto migliore per chi vuole far perdere le sue tracce o ama la solitudine. In questi cinque giorni il mio cellulare ha funzionato solo nelle zone intorno a Hobart e a Launceston, per il resto non c'è mai stato campo. Paesi confinanti da 500-1000 abitanti a una mezz'ora di distanza l'uno dall'altro. Strade come questa. Per questo ho scritto all'inizio che solo viaggiando on the road riesci a cogliere lo spirito di questi posti. Anche perchè se dopo 3 ore al volante su strade che da noi verrebbero chiamate statali, ma che qui ottengono il titolo di highway, ti imbatti in un posto come The Hungry Wombat e mangi il miglior hamburger della tua vita, capisci che il gioco vale eccome la candela.
In questo quarto giorno abbiamo visto il Lake St. Clair, che è il punto d'arrivo dell'Overland Track, un percorso di trekking di 80km nel più grande parco naturale della Tasmania. Magari il prossimo viaggio in Tasmania si fa.
La sera siamo andati a dormire in un campeggio nel parco di Mt. Field, dove, andando a vedere le cascate Russell, ci siamo imbattuti nel sopraccitato ornitorinco, nonchè in numerosi wallaby intenti a cenare.
Ma è stata la nostra cena a regalarci il contatto più ravvicinato col mondo animale. Infatti, io e Salvador avevamo deciso finalmente di utilizzare il fornelletto a gas in dotazione per farci un'italianissima pasta. Ignorando però che gli opossum gradissero la cucina mediterranea. La lotta per la difesa del nostro cibo è stata all'ultimo sangue. Le fasi salienti dell'incontro sono state: il fischio d'inizio, lo scontro, il verdetto. Il tutto accompagnato da un sessantenne neozelandese in partenza per l'Overland track che ci narrava delle sue avventure sessuali nelle Filippine. La parte degli opossum è stata però divertente (la seconda un po' meno).
L'ultimo giorno, prima di tornare nella civiltà, siamo andati a un centro per animali orfani o sfigati: una specie di zoo per vedere gli animali che non eravamo riusciti a vedere in the wild. Ed ecco quindi koala (nella prossima vita voglio essere un koala, l'animale più pacifico di questa terra), wombat e la star della casa, il diavolo della Tasmania. Che poi chiamare diavolo un orsetto non più alto di 30 centimetri è stato un colpo basso; però è anche vero che non sembra in grado di stare fermo un secondo, come fosse, per l'appunto, indiavolato.
Ultima tappa del viaggio quindi a Hobart, la capitale. Niente di eccezionale. Uniche cose degne di nota: la piazza principale, più che altro per il nome, Salamanca square, che ti fa venire voglia di cercare le tapas del bar Tevere, ma che ahimé con la Castilla y Leon ha poco a che fare; seconda cosa, il buon fish&chips preso al porto la sera.
Quest'isola ti lascia la voglia di tornare per stare più a lungo. Per camminare. Per pescare nelle decine di laghi e fiumi. Per uscire dal mondo per qualche tempo.
Non sono riuscito a vedere quella che dicono sia la montagna più bella della Tasmania. Un mio amico dice che non bisogna mai vedere tutto di un posto, così si ha la scusa per tornare. Lo spero o, come si dice qui, hopefully, che rende più l'idea di come sia pieno di speranza.
Ora vi lascio, spero di avervi lasciato la voglia di valutare la Tasmania come possibile meta.
La prossima volta vi racconto di St. Patrick e della bolgia che è casa mia.
Chi non viene sul blog, avrà vita difficile in uno scontro uomo vs. opossum!
PS. Per chi non conosce bene Flickr, consiglio di vedere le foto della Tasmania cliccando qui e poi in alto a destra su slideshow. Almeno potete vederle grandi e in ordine.
venerdì 19 marzo 2010
Prima dell'Opera House,
martedì 9 marzo 2010
Finalmente turista II o "Volpi volanti, sbirri gay e altre storie"
Bonsoir! (la convivenza con i transalpini inizia a sortire i suoi effetti)
Come state? Questa settimana il vostro ha iniziato le lezioni, anche se la sensazione di essere in vacanza non è ancora svanita del tutto. L’aspetto più socialmente interessante delle lezioni a cui ho avuto modo di assistere, è la composizione delle classi: più dell’80% dei miei compagni è cinese (li riconosci per il pessimo inglese e la scarsa padronanza nello scegliere il vestiario). La domanda che mi sono posto più volte nel corso di questa first week è stata: “ma dove sono gli australiani?”
Ma bando alle ciance. Iniziamo.
Prima cosa: la casa. All’inizio ero un po’ scettico sul vivere con tutta questa marea di persone, ma mi sono ricreduto in fretta. Il bello di vivere al 91 di Old South Head Road è che non c’è mai un momento in cui ti trovi solo. Alla sera non serve invitare gente per fare baldoria: anche se c’è solo un terzo dei coinquilini in salotto, può venire fuori una bella baraonda. Le persone che vivono qui hanno alle spalle i passati più svariati, ma tutti hanno qualche storia interessante da raccontare. Anche le provenienze sono le più varie: oltre al nutrito gruppo europeo (francesi, italiani e inglesi per lo più), vi sono un cileno, due brasiliane, una coppia giapponese e un neozelandese. Siamo alla ricerca di un africano per completare la collezione dei continenti, ma sembra che Rudy abbia uno zio della Sierra Leone, quindi possiamo dargliela buona.
Questa notte sarà la prima notte nella nuova stanza, nonchè la prima notte in cui dormo da solo da quando sono arrivato a Sydney. Non ci ero più abituato. Ho finalmente svuotato le valigie, con le camicie che mi imploravano di tirarle fuori dopo 3 settimane di prigionia nella plastica. Non escludo però di tornare a vivere in tripla, un po’ perchè costa 100 dollari in meno a settimana, un po’ perchè, nonostante il casino che regnava sovrano, mi ci trovavo bene. Vedremo.
Ma parliamo un po’ di questa città. O meglio di queste città. Perchè Sydney può essere tante città allo stesso tempo. É Singapore, con i grattacieli del suo business district affacciati sul mare. É inglese nel sangue, ma asiatica d’adozione. É uno sterminio di porticcioli provenzali, con le sue decine di baie piene di barche a vela. É Camden Town, a Newtown, con i suoi locali alternativi e gli imponenti graffitti sui muri. É Lisbona, con le sue salite ripide e inaspettate e con il suo onnipresente ponte. É un placido paesino inglese, come ad Erkensville, dove le macchine non si sentono, i bambini giocano per strada e le case a due piani sono allo stesso tempo tutte uguali e diverse tra loro. É le sue spiaggie, forse come nessuna altra metropoli al mondo. É i suoi quartieri residenziali con le villette con giardino e piscina e vista sulle barche a vela che si sfidano nella baia. É Amsterdam, a Kings Cross, che se avete letto i post precedenti non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni. É i suoi parchi, dove si possono incontrare dagli opossum ai pappagalli. É molto Londra, pur senza la sua eleganza ma con un tempo decisamente migliore. Sydney mi ricorda tutti questi altri posti, ma non è simile a nessuno di questi nel suo complesso. Col tempo sono sicuro che riuscirò a capire meglio l’anima di questa città, ma finora il feedback è certamente positivo.
Poco fa ho menzionato i suoi parchi. La settimana scorsa sono stato al Royal Botanic Garden, un enorme giardino botanico a due passi dalla City. Sarà che vengo da un paese che ignora spesso l’importanza del verde pubblico, e che spesso all’estero rimango colpito dal fatto che in questi parchi vivono animali diversi dalle pantegane, ma questo ha superato ogni aspettativa. La sua location lo aiuta, con la vista dell’Opera House e del ponte dietro. Ma anche se non ci fosse questo panorama (il che non è una cosa da poco), sarebbe lo stesso un posto da favola. É difficile riuscire a camminare senza alzare continuamente lo sguardo per vedere pennuti come questo. Per non parlare delle piante. E di questi. Durante il giorno, vi sono centinaia di questi pipistrelli che dormono. Quando poi iniziano a volare e aprono le ali, capisci anche perchè Wikipedia spiega che il loro nome inglese è Grey-Headed Flying Foxes, volpi volanti dalla testa grigia. Se i pipistrelli che si vedono da noi sono niente più che topi alati, questi hanno le dimensioni di un cagnolino. Tra tutti gli esseri che solcano i cieli di Sydney, sono loro a suscitare più rispetto. Forse è anche quello che ha pensato Bruce Wayne, quando ha deciso che sarebbe diventato Batman.
Oltre alla flora e alla fauna, del Royal Botanic Garden ho apprezzato moltissimo lo stile con cui è gestito. I cartelli che invitano a togliersi le scarpe e a godersi una passeggiata nell’erba tagliata si contano a decine. Non mi sono lasciato pregare. Allo stesso tempo però raccomandano di non calpestare la terra delle aiuole (è sempre bello scrivere la parola più corta con tutte e 5 le vocali), in quanto sotto la suola delle scarpe è spesso presente un fungo che potrebbe compromettere la salute delle piante.
Se non avessi dimenticato l’Ipod a casa (cazzo cazzo cazzo), finchè stavo seduto sugli scogli a guardare i catamarani passare sotto l’Harbour Bridge, avrei sicuramente ascoltato "Us and them" dei Pink Floyd. Da quando una mattina, a Milano, uscendo dalla metropolitana, ascoltando questa canzone, ho visto il Duomo illuminato dal sole, l’ho sempre pensata come una rappresentazione in musica dell’uomo che sconfigge la natura, migliorandola. Qualche tempo dopo, quando ho visto 2001 Odissea nello Spazio, ho scoperto che per descrivere una sensazione simile, Kubrick aveva preferito "Così parlò Zarathustra" di Strauss. A ognuno il suo. Quello che è certo è che mi è rimasta la voglia di ascoltare Us and them contemplando l’Opera House.
La sera della mia visita al Royal Botanic Garden sono poi andato a uno degli eventi più famosi di Sydney, il Mardi Gras, la sfilata gay più famosa dell’Oceania. Ma non è solo un evento gay. É una festa per tutta la città. É un Carnevale. Nella folla che assiste ci sono anziani e bambini, e anche la maggioranza degli spettatori è etero. Molti negozi espongono la bandiera arcobaleno simbolo del movimento LGBT. L’arteria principale della città si ferma. Tra i carri della sfilata vi sono quelli di tutti i principali corpi pubblici della città, dalla polizia, ai pompieri, all’agenzia che gestisce i trasporti. Per una nazione con una alta eterogeneità al suo interno, la difesa di ogni forma di diversità, siano esse etniche, religiose o sessuali, è un passo fondamentale.
La sfilata è iniziata con una processione di moto di grossa cilindrata. L’aspetto inusuale è che alla guida non vi erano cappelloni coi baffi e giubbotto in pelle, ma signore e signorine di tutte le età, stazze e livelli di femminilità, ma con preferenze sessuali abbastanza concordi. E saranno state diverse dozzine. (Ad onor del vero, dopo le fanciulle, sono scesi in campo anche i ragazzi, ma i motociclisti gay anche in Australia si contano sulle dita di due mani).
Poi è iniziata la sfilata vera e propria, molto simile a quella nostra del Carnevale, con carri rigorosamente gay friendly. Come prevedibile, l’obiettivo era smontare tutti i cardini del machismo. Oltre ai già citati pompieri e sbirri, vi erano carrozze dei giocatori di rugby, dei bagnini (una delle più belle dal punto di vista coreografico), dei militari e degli scozzesi (il cartello “I saw the Cockness Monster” ha suscitato parecchi applausi). Un altro carro particolarmente divertente era quello che prendeva in giro l’Islamismo oltranzista, con ballerine con burqa e tanga che ballavano sotto lo slogan “A new way of fundamentalism”.
Senza ombra di dubbio, è stata una serata diversa dalle altre.
Le foto del Mardi Gras sono venute uno schifo, ho fatto però dei video che caricherò in seguito. Intanto, se volete vedere un po' di foto: qui ho messo un po' di foto dei miei primi giorni a Sydney e qui quelle della passeggiata al Royal Botanic Garden. Enjoy!
Dopodomani vado in Tasmania, come già sapete, quindi ci sentiremo tra qualche giorno.
Chiudo con una supplica finanziaria. Un Dollaro Australiano un anno fa valeva circa 0,50 Euro. Quando sono arrivato valeva 0,65 abbondanti. Ora si prepara a sorpassare il muro del 0,67. Se va avanti così per luglio avremo la parità. Quindi, se non volete che il vostro beniamino inizi a vendere organi vitali per sopravvivere, comprate euri e vendete dollari australiani nel caso li aveste. Chi lo fa vince una foto autografata di Rudy con tanto di dedica.
Buona festa della donna a tutte le migliaia (stima per difetto) di lettrici affezionate a questo blog.
Chi non legge sul blog è Another Brick in the Wall.
Come state? Questa settimana il vostro ha iniziato le lezioni, anche se la sensazione di essere in vacanza non è ancora svanita del tutto. L’aspetto più socialmente interessante delle lezioni a cui ho avuto modo di assistere, è la composizione delle classi: più dell’80% dei miei compagni è cinese (li riconosci per il pessimo inglese e la scarsa padronanza nello scegliere il vestiario). La domanda che mi sono posto più volte nel corso di questa first week è stata: “ma dove sono gli australiani?”
Ma bando alle ciance. Iniziamo.
Prima cosa: la casa. All’inizio ero un po’ scettico sul vivere con tutta questa marea di persone, ma mi sono ricreduto in fretta. Il bello di vivere al 91 di Old South Head Road è che non c’è mai un momento in cui ti trovi solo. Alla sera non serve invitare gente per fare baldoria: anche se c’è solo un terzo dei coinquilini in salotto, può venire fuori una bella baraonda. Le persone che vivono qui hanno alle spalle i passati più svariati, ma tutti hanno qualche storia interessante da raccontare. Anche le provenienze sono le più varie: oltre al nutrito gruppo europeo (francesi, italiani e inglesi per lo più), vi sono un cileno, due brasiliane, una coppia giapponese e un neozelandese. Siamo alla ricerca di un africano per completare la collezione dei continenti, ma sembra che Rudy abbia uno zio della Sierra Leone, quindi possiamo dargliela buona.
Questa notte sarà la prima notte nella nuova stanza, nonchè la prima notte in cui dormo da solo da quando sono arrivato a Sydney. Non ci ero più abituato. Ho finalmente svuotato le valigie, con le camicie che mi imploravano di tirarle fuori dopo 3 settimane di prigionia nella plastica. Non escludo però di tornare a vivere in tripla, un po’ perchè costa 100 dollari in meno a settimana, un po’ perchè, nonostante il casino che regnava sovrano, mi ci trovavo bene. Vedremo.
Ma parliamo un po’ di questa città. O meglio di queste città. Perchè Sydney può essere tante città allo stesso tempo. É Singapore, con i grattacieli del suo business district affacciati sul mare. É inglese nel sangue, ma asiatica d’adozione. É uno sterminio di porticcioli provenzali, con le sue decine di baie piene di barche a vela. É Camden Town, a Newtown, con i suoi locali alternativi e gli imponenti graffitti sui muri. É Lisbona, con le sue salite ripide e inaspettate e con il suo onnipresente ponte. É un placido paesino inglese, come ad Erkensville, dove le macchine non si sentono, i bambini giocano per strada e le case a due piani sono allo stesso tempo tutte uguali e diverse tra loro. É le sue spiaggie, forse come nessuna altra metropoli al mondo. É i suoi quartieri residenziali con le villette con giardino e piscina e vista sulle barche a vela che si sfidano nella baia. É Amsterdam, a Kings Cross, che se avete letto i post precedenti non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni. É i suoi parchi, dove si possono incontrare dagli opossum ai pappagalli. É molto Londra, pur senza la sua eleganza ma con un tempo decisamente migliore. Sydney mi ricorda tutti questi altri posti, ma non è simile a nessuno di questi nel suo complesso. Col tempo sono sicuro che riuscirò a capire meglio l’anima di questa città, ma finora il feedback è certamente positivo.
Poco fa ho menzionato i suoi parchi. La settimana scorsa sono stato al Royal Botanic Garden, un enorme giardino botanico a due passi dalla City. Sarà che vengo da un paese che ignora spesso l’importanza del verde pubblico, e che spesso all’estero rimango colpito dal fatto che in questi parchi vivono animali diversi dalle pantegane, ma questo ha superato ogni aspettativa. La sua location lo aiuta, con la vista dell’Opera House e del ponte dietro. Ma anche se non ci fosse questo panorama (il che non è una cosa da poco), sarebbe lo stesso un posto da favola. É difficile riuscire a camminare senza alzare continuamente lo sguardo per vedere pennuti come questo. Per non parlare delle piante. E di questi. Durante il giorno, vi sono centinaia di questi pipistrelli che dormono. Quando poi iniziano a volare e aprono le ali, capisci anche perchè Wikipedia spiega che il loro nome inglese è Grey-Headed Flying Foxes, volpi volanti dalla testa grigia. Se i pipistrelli che si vedono da noi sono niente più che topi alati, questi hanno le dimensioni di un cagnolino. Tra tutti gli esseri che solcano i cieli di Sydney, sono loro a suscitare più rispetto. Forse è anche quello che ha pensato Bruce Wayne, quando ha deciso che sarebbe diventato Batman.
Oltre alla flora e alla fauna, del Royal Botanic Garden ho apprezzato moltissimo lo stile con cui è gestito. I cartelli che invitano a togliersi le scarpe e a godersi una passeggiata nell’erba tagliata si contano a decine. Non mi sono lasciato pregare. Allo stesso tempo però raccomandano di non calpestare la terra delle aiuole (è sempre bello scrivere la parola più corta con tutte e 5 le vocali), in quanto sotto la suola delle scarpe è spesso presente un fungo che potrebbe compromettere la salute delle piante.
Se non avessi dimenticato l’Ipod a casa (cazzo cazzo cazzo), finchè stavo seduto sugli scogli a guardare i catamarani passare sotto l’Harbour Bridge, avrei sicuramente ascoltato "Us and them" dei Pink Floyd. Da quando una mattina, a Milano, uscendo dalla metropolitana, ascoltando questa canzone, ho visto il Duomo illuminato dal sole, l’ho sempre pensata come una rappresentazione in musica dell’uomo che sconfigge la natura, migliorandola. Qualche tempo dopo, quando ho visto 2001 Odissea nello Spazio, ho scoperto che per descrivere una sensazione simile, Kubrick aveva preferito "Così parlò Zarathustra" di Strauss. A ognuno il suo. Quello che è certo è che mi è rimasta la voglia di ascoltare Us and them contemplando l’Opera House.
La sera della mia visita al Royal Botanic Garden sono poi andato a uno degli eventi più famosi di Sydney, il Mardi Gras, la sfilata gay più famosa dell’Oceania. Ma non è solo un evento gay. É una festa per tutta la città. É un Carnevale. Nella folla che assiste ci sono anziani e bambini, e anche la maggioranza degli spettatori è etero. Molti negozi espongono la bandiera arcobaleno simbolo del movimento LGBT. L’arteria principale della città si ferma. Tra i carri della sfilata vi sono quelli di tutti i principali corpi pubblici della città, dalla polizia, ai pompieri, all’agenzia che gestisce i trasporti. Per una nazione con una alta eterogeneità al suo interno, la difesa di ogni forma di diversità, siano esse etniche, religiose o sessuali, è un passo fondamentale.
La sfilata è iniziata con una processione di moto di grossa cilindrata. L’aspetto inusuale è che alla guida non vi erano cappelloni coi baffi e giubbotto in pelle, ma signore e signorine di tutte le età, stazze e livelli di femminilità, ma con preferenze sessuali abbastanza concordi. E saranno state diverse dozzine. (Ad onor del vero, dopo le fanciulle, sono scesi in campo anche i ragazzi, ma i motociclisti gay anche in Australia si contano sulle dita di due mani).
Poi è iniziata la sfilata vera e propria, molto simile a quella nostra del Carnevale, con carri rigorosamente gay friendly. Come prevedibile, l’obiettivo era smontare tutti i cardini del machismo. Oltre ai già citati pompieri e sbirri, vi erano carrozze dei giocatori di rugby, dei bagnini (una delle più belle dal punto di vista coreografico), dei militari e degli scozzesi (il cartello “I saw the Cockness Monster” ha suscitato parecchi applausi). Un altro carro particolarmente divertente era quello che prendeva in giro l’Islamismo oltranzista, con ballerine con burqa e tanga che ballavano sotto lo slogan “A new way of fundamentalism”.
Senza ombra di dubbio, è stata una serata diversa dalle altre.
Le foto del Mardi Gras sono venute uno schifo, ho fatto però dei video che caricherò in seguito. Intanto, se volete vedere un po' di foto: qui ho messo un po' di foto dei miei primi giorni a Sydney e qui quelle della passeggiata al Royal Botanic Garden. Enjoy!
Dopodomani vado in Tasmania, come già sapete, quindi ci sentiremo tra qualche giorno.
Chiudo con una supplica finanziaria. Un Dollaro Australiano un anno fa valeva circa 0,50 Euro. Quando sono arrivato valeva 0,65 abbondanti. Ora si prepara a sorpassare il muro del 0,67. Se va avanti così per luglio avremo la parità. Quindi, se non volete che il vostro beniamino inizi a vendere organi vitali per sopravvivere, comprate euri e vendete dollari australiani nel caso li aveste. Chi lo fa vince una foto autografata di Rudy con tanto di dedica.
Buona festa della donna a tutte le migliaia (stima per difetto) di lettrici affezionate a questo blog.
Chi non legge sul blog è Another Brick in the Wall.
venerdì 5 marzo 2010
Abusivismo in Sydney o "Rudy, il coinqulino che non ti aspetti e altre storie"
Nell’ultimo post ho dimenticato un particolare della nuova casa.
Infatti, oltre alle quasi tre dozzine di persone che vivono qui (sono più di 25, ma nessuno sa il numero esatto), c’è anche un simpatico roditore, dalla stazza robusta e la pelliccia argentea, che bivacca in una delle due cucine (non quella dove mangio io però). Ho anche avuto modo di conoscerlo la prima sera che ero arrivato. Un irlandese che non risulterebbe mai negativo ad un controllo antidoping, (soprattutto per quanto riguarda le sostanze con cui gli adepti del rastafaresimo si avvicinano a Jah), mi ha spiegato come l’inquilino abusivo si chiami Rudy. Fino a un po’ di tempo fa si racconta ci fosse anche Hugo, poi se ne è andato. Devono aver litigato.
I miei coinquilini non sembrano interessarsi più di tanto della presenza di Rudy. A me fa un po’ schifo, ma prendo la cosa con filosofia. D’altronde, anche il ben più autorevole Plinius Maior era arrivato alla medesima soluzione affermando: “Mures incolae domuum sunt” (non preoccupatevi, non sono diventato un fine latinista, l’ho semplicemente trovata su Wikipedia).
Chi non capisse la frase latina, chieda pure a lei: le sue performance nella lingua dei nostri antenati hanno fatto letteralmente il giro del mondo.
PS. Oggi è il compleanno del corridore con la pettorina 4380: un augurio di buon compleanno e di poter continuare a macinare chilometri per molti altri anni.
Infatti, oltre alle quasi tre dozzine di persone che vivono qui (sono più di 25, ma nessuno sa il numero esatto), c’è anche un simpatico roditore, dalla stazza robusta e la pelliccia argentea, che bivacca in una delle due cucine (non quella dove mangio io però). Ho anche avuto modo di conoscerlo la prima sera che ero arrivato. Un irlandese che non risulterebbe mai negativo ad un controllo antidoping, (soprattutto per quanto riguarda le sostanze con cui gli adepti del rastafaresimo si avvicinano a Jah), mi ha spiegato come l’inquilino abusivo si chiami Rudy. Fino a un po’ di tempo fa si racconta ci fosse anche Hugo, poi se ne è andato. Devono aver litigato.
I miei coinquilini non sembrano interessarsi più di tanto della presenza di Rudy. A me fa un po’ schifo, ma prendo la cosa con filosofia. D’altronde, anche il ben più autorevole Plinius Maior era arrivato alla medesima soluzione affermando: “Mures incolae domuum sunt” (non preoccupatevi, non sono diventato un fine latinista, l’ho semplicemente trovata su Wikipedia).
Chi non capisse la frase latina, chieda pure a lei: le sue performance nella lingua dei nostri antenati hanno fatto letteralmente il giro del mondo.
PS. Oggi è il compleanno del corridore con la pettorina 4380: un augurio di buon compleanno e di poter continuare a macinare chilometri per molti altri anni.
mercoledì 3 marzo 2010
Finalmente turista o "Folgorato sulla via per Watson Bay e altre storie"
Buenas tarde a todos!
Vi sono mancato? In questi ultimi giorni ho avuto poco tempo per scrivere, anche perchè ho appena traslocato e ho passato questi primi giorni in Old South Head Road a tentare di imparare i nomi di, se non tutti, almeno una parte dell’esercito di persone con cui condivido il tetto. Sono anche successe un paio di cose, diciamo sgradevoli, che hanno fagocitato la mia attenzione. Però oggi sono di buon umore quindi non mi va di parlarne; vi basti sapere che il problema aveva a che fare con il Cimex Lectularius e che ora (spero) dovrebbe essersi risolto.
Breve nota di servizio: ho deciso che non caricherò le foto di questi mesi su Facebook, ma su Flickr per due ragioni: la prima è che alcuni dei miei più accaniti lettori (nonchè sponsor principali) non hanno Facebook e non sono intenzionati a farselo; la seconda è che così le foto saranno viste solo da chi è interessato, lasciando così all’oscuro tanti miei “amici” di Facebook, che non vedranno comparire le mie foto sulla loro pagina. Potete trovare le foto di Singapore qui, mentre della storia che vi sto per raccontare qui.
Vi consiglio però di guardarle tutte solo alla fine di aver letto questo post. Ho anche caricato il video della tradizione cinese dal nome irricordabile qui, perchè il video era troppo grande per essere caricato su questo sito.
Ma riprendiamo da dove ci eravamo lasciati. Avevo trovato casa. Terminato quindi (almeno provvisoriamente) il mio peregrinare senza meta per le vie più decentrate della città, ho potuto finalmente dedicarmi a una delle mie attività favorite: il turismo compulsivo.
Allora, venerdì scorso: sveglia dal Globe Hostel, colazione rigenerante da 8 dollari a base di cappuccino e croissant e pronti per andare da Kings Cross a Watson Bay. Dal momento che so che molti di voi non sono particolarmente ferrati sui diversi quartieri della capitale del New South Wales, vi risparmio la fatica e vi metto qui il mio itinerario approssimativo (anche se io sono convinto di aver camminato per più di 16 kilometri)
Avevo capito di essere sulla strada giusta quando, ancora in Rushcutter Bay, chiedendo ad un autoctono indicazioni per Watson Bay, mi sono sentito rispondere: “it’s quite long but it’s a very nice walk and not many overseas tourists do that”.
Non si trattava certo dell’itinerario più turistico di Sydney, visto che ero l’unico tra le persone che ho incontrato dotato di macchina fotografica. Ma, nondimeno, in più punti questa passeggiata mi ha regalato delle impagabili viste panoramiche sulla baia di Sydney con tanto di skyline e di quel vanitoso di un Harbour Bridge che non rinuncia mai ad apparire in una foto. La giornata è stata anche ricca di incontri interessanti, o per lo meno curiosi.
Il primo non l’ho ancora capito bene e mi servirebbe un esperto di costumi orientali per ottenere una spiegazione valida. Ero in un parchetto vicino al porto e vedo questo gruppo di cinesi procedere in fila indiana, biascicando qualche parola a labbra chiuse. Non solo, ai lati del parco vedo altre persone continuare a mormorare qualcosa in mandarino. Inizalmente pensavo ad una comitiva turistica, ma quando hanno iniziato a girare in tondo per il parco mi sono incuriosito. Al che, il vostro eroe, armato con la sua Panasonic Lumix, decide di immortalare per i posteri questo bizzarro comportamento. Quand’ecco una ragazza inviperita venire verso di me ad intimarmi di cancellare la foto. Non l’ho fatto, apportando come pretesto che l’allegra comitiva non rientrava nella foto. La foto è questa. Chiunque sappia qualcosa su queste strane usanze non esiti a contattarmi. Mah!
Il secondo non è stato proprio un incontro, perchè questa parola sottindende una qualsiasi forma di interazione interpersonale, che in questo caso non è avvenuta. Però è stato un momento piacevole. Ero in un altro parco in riva al mare, deciso a prendermi una pausa in un angolo immerso nella totale quiete e con tanto di vista sulla city. Perchè Sydney ha una caratteristica che non avevo mai trovato in una città di più di 4 milioni di abitanti: ti regala dei posti che ti permettono di sentire solamente lo scrosciare delle onde e il cantare degli uccelli. In questo angolo lontano dalla frenesia cittadina vi erano altre due persone. Un pescatore di passione e un postino in pausa. Nessuno dei due mi ha dedicato più di uno sguardo. Ma siamo rimasti per una mezz’ora non troppo distanti l’uno dall’altro, attenti a non disturbare la pace del posto. Per tutto il periodo in cui sono rimasto lì, ho visto il pescatore prendere diversi pesci, senza però tenerne nessuno. Non aveva nemmeno il secchio, dove in genere chi pesca tiene il pescato. Probabilmente rigettava i pesci in mare perchè troppo piccoli, ma mi piace immaginarlo come uno che aiuta i pesci a non farsi pescare; come quando uno si prende una malattia infettiva e poi ne diventa immune, allo stesso modo un pesce, dopo aver abboccato una volta ad un’esca starà ben attento a non farlo una seconda. Mi piace pensare che questo fosse l’hobby del mio compagno di quiete: istruire i pesci a non fidarsi degli ami.
Il secondo personaggio, invece, sembrava appena uscito da un pub scozzese. Venuto in bicicletta, non si è mai tolto il casco per tutto il tempo in cui è rimasto lì, trascorrendo i minuti della sua pausa pranzo sorseggiando una birra con gli occhi fissi sulla baia e i piedi sospesi sopra le onde. Se mai dovessi finire per essere un postino a Sydney, penso che anch’io passerò le mie pause pranzo in questo modo in Elizabeth Bay.
Il terzo incontro però è stato il più divertente. L’ora di pranzo era arrivata da un pezzo e cominciavo ad avere fame. Avevo già visto diversi bar, ma nessuno di questi vendeva alcolici. Potevo transigere su diverse cose, ma avevo assolutamente voglia di una birra fresca. É così che sono arrivato a un risto-bar, che offriva anche la possibilità di scommettere sulle corse dei cani. Dopo il mio meritato piatto di calamari fritti, stavo consultando la Lonely Planet, quando si avvicina un signore dagli addominali particolarmente rilassati, sorpreso dal vedere un turista in quel bar. Ho passato un po’ di tempo con lui e i suoi compagni di bevute, scroccando un’altra birra, ricevendo consigli su posti da visitare in Australia e ricambiando gli stessi, suggerendo ristoranti in Trastevere, per il mio nuovo amico che stava per partire per Roma. Gli australiani, almeno quelli che ho avuto modo di conoscere finora, sono molto aperti e curiosi nei confronti dello straniero, specialmente se viene da lontano. Ho avuto il mio da fare per spiegare che volevo raggiungere a piedi Watson Bay e non volevo un passaggio in macchina. Ancora più sofferto è stato il rifiuto della terza birra.
Più tardi, nel pomeriggio, ho avuto ancora modo di testare la gentilezza australiana quando un anziano signore, vedendomi in difficoltà nel trovare le indicazioni stradali, dopo avermi aiutato mi ha anch’egli proposto un passaggio in macchina. Al mio rifiuto mi ha detto che sarei dovuto ripassare per una tazza di té. Impagabile.
Il mio arrivo a Watson Bay è stato reso più dolce da una coppia just married, intenta a fare le foto di rito, e da Eolo, che aveva finalmente iniziato a spazzare via le nubi e regalarmi il mio meritato sguardo sulla baia, sotto l’azzurro di un cielo con l’ozono bucherellato.
Sydney ti risveglia delle voglie che non pensavi di avere. Una su tutte: ti viene voglia di andare in barca a vela. Ho sempre preferito la terra all'acqua, ma quando vedi tutte queste barche delle più svariate dimensioni cavalcare le tranquille onde della baia, la tentazione di rivdere le proprie posizioni è forte.
Un'altra cosa che mi piacerebbe fare qui, e non ridete, è fare un corso di bird-watching, nell'accezione più ornitologica del termine. Le nostre città sono piene di piccioni e passeri. Qui ci sono uccelli di tutti i colori, forme, dimensioni e suoni. Il più frequente e ridicolo è questo, che con la sua camminata claudicante fa compagnia a quelli che fanno picnic nei parchi. Ma questi ibis non sono gli unici pennuti che si trovano facilmente, perchè si vedono anche questi, questi, questi e questi.
Alla fine sono arrivato a the Gap, la parte della penisola di Vaucluse che si affaccia sull'oceano e dove si registrano la maggior parte dei suicidi di Sydney. Tutti quelli a cui chiedevo informazioni stradali per The Gap mi rispondevano: "Don't jump off!".
Non ero lì per quello. E poi Eolo aveva appena finito il suo lavoro.
Ah, tornando a Kings Cross ho anche trovato loro. Ancora un poco e non li seguivo.
La prossima volta vi racconterò del Mardi Gras e della mia scoperta della città, ora sono stanco di scrivere.
Un abbraccio a tutti, soprattutto a chi mi ha scritto in questi giorni manifestandomi il loro affetto.
Chi non viene sul blog è un Kookaburra!
PS. per gli amanti delle scommesse, la persona che nel post precedente aveva richiesto un visto, l'ha ottenuto. L'ultima volta che persone dall'Extremadura sono sbarcate su un altro continente, le culture millenarie degli Aztechi e dei Maya sono scomparse nel giro di poco tempo. Spero che agli aborigeni australiani le cose vadano meglio.
Vi sono mancato? In questi ultimi giorni ho avuto poco tempo per scrivere, anche perchè ho appena traslocato e ho passato questi primi giorni in Old South Head Road a tentare di imparare i nomi di, se non tutti, almeno una parte dell’esercito di persone con cui condivido il tetto. Sono anche successe un paio di cose, diciamo sgradevoli, che hanno fagocitato la mia attenzione. Però oggi sono di buon umore quindi non mi va di parlarne; vi basti sapere che il problema aveva a che fare con il Cimex Lectularius e che ora (spero) dovrebbe essersi risolto.
Breve nota di servizio: ho deciso che non caricherò le foto di questi mesi su Facebook, ma su Flickr per due ragioni: la prima è che alcuni dei miei più accaniti lettori (nonchè sponsor principali) non hanno Facebook e non sono intenzionati a farselo; la seconda è che così le foto saranno viste solo da chi è interessato, lasciando così all’oscuro tanti miei “amici” di Facebook, che non vedranno comparire le mie foto sulla loro pagina. Potete trovare le foto di Singapore qui, mentre della storia che vi sto per raccontare qui.
Vi consiglio però di guardarle tutte solo alla fine di aver letto questo post. Ho anche caricato il video della tradizione cinese dal nome irricordabile qui, perchè il video era troppo grande per essere caricato su questo sito.
Ma riprendiamo da dove ci eravamo lasciati. Avevo trovato casa. Terminato quindi (almeno provvisoriamente) il mio peregrinare senza meta per le vie più decentrate della città, ho potuto finalmente dedicarmi a una delle mie attività favorite: il turismo compulsivo.
Allora, venerdì scorso: sveglia dal Globe Hostel, colazione rigenerante da 8 dollari a base di cappuccino e croissant e pronti per andare da Kings Cross a Watson Bay. Dal momento che so che molti di voi non sono particolarmente ferrati sui diversi quartieri della capitale del New South Wales, vi risparmio la fatica e vi metto qui il mio itinerario approssimativo (anche se io sono convinto di aver camminato per più di 16 kilometri)
Avevo capito di essere sulla strada giusta quando, ancora in Rushcutter Bay, chiedendo ad un autoctono indicazioni per Watson Bay, mi sono sentito rispondere: “it’s quite long but it’s a very nice walk and not many overseas tourists do that”.
Non si trattava certo dell’itinerario più turistico di Sydney, visto che ero l’unico tra le persone che ho incontrato dotato di macchina fotografica. Ma, nondimeno, in più punti questa passeggiata mi ha regalato delle impagabili viste panoramiche sulla baia di Sydney con tanto di skyline e di quel vanitoso di un Harbour Bridge che non rinuncia mai ad apparire in una foto. La giornata è stata anche ricca di incontri interessanti, o per lo meno curiosi.
Il primo non l’ho ancora capito bene e mi servirebbe un esperto di costumi orientali per ottenere una spiegazione valida. Ero in un parchetto vicino al porto e vedo questo gruppo di cinesi procedere in fila indiana, biascicando qualche parola a labbra chiuse. Non solo, ai lati del parco vedo altre persone continuare a mormorare qualcosa in mandarino. Inizalmente pensavo ad una comitiva turistica, ma quando hanno iniziato a girare in tondo per il parco mi sono incuriosito. Al che, il vostro eroe, armato con la sua Panasonic Lumix, decide di immortalare per i posteri questo bizzarro comportamento. Quand’ecco una ragazza inviperita venire verso di me ad intimarmi di cancellare la foto. Non l’ho fatto, apportando come pretesto che l’allegra comitiva non rientrava nella foto. La foto è questa. Chiunque sappia qualcosa su queste strane usanze non esiti a contattarmi. Mah!
Il secondo non è stato proprio un incontro, perchè questa parola sottindende una qualsiasi forma di interazione interpersonale, che in questo caso non è avvenuta. Però è stato un momento piacevole. Ero in un altro parco in riva al mare, deciso a prendermi una pausa in un angolo immerso nella totale quiete e con tanto di vista sulla city. Perchè Sydney ha una caratteristica che non avevo mai trovato in una città di più di 4 milioni di abitanti: ti regala dei posti che ti permettono di sentire solamente lo scrosciare delle onde e il cantare degli uccelli. In questo angolo lontano dalla frenesia cittadina vi erano altre due persone. Un pescatore di passione e un postino in pausa. Nessuno dei due mi ha dedicato più di uno sguardo. Ma siamo rimasti per una mezz’ora non troppo distanti l’uno dall’altro, attenti a non disturbare la pace del posto. Per tutto il periodo in cui sono rimasto lì, ho visto il pescatore prendere diversi pesci, senza però tenerne nessuno. Non aveva nemmeno il secchio, dove in genere chi pesca tiene il pescato. Probabilmente rigettava i pesci in mare perchè troppo piccoli, ma mi piace immaginarlo come uno che aiuta i pesci a non farsi pescare; come quando uno si prende una malattia infettiva e poi ne diventa immune, allo stesso modo un pesce, dopo aver abboccato una volta ad un’esca starà ben attento a non farlo una seconda. Mi piace pensare che questo fosse l’hobby del mio compagno di quiete: istruire i pesci a non fidarsi degli ami.
Il secondo personaggio, invece, sembrava appena uscito da un pub scozzese. Venuto in bicicletta, non si è mai tolto il casco per tutto il tempo in cui è rimasto lì, trascorrendo i minuti della sua pausa pranzo sorseggiando una birra con gli occhi fissi sulla baia e i piedi sospesi sopra le onde. Se mai dovessi finire per essere un postino a Sydney, penso che anch’io passerò le mie pause pranzo in questo modo in Elizabeth Bay.
Il terzo incontro però è stato il più divertente. L’ora di pranzo era arrivata da un pezzo e cominciavo ad avere fame. Avevo già visto diversi bar, ma nessuno di questi vendeva alcolici. Potevo transigere su diverse cose, ma avevo assolutamente voglia di una birra fresca. É così che sono arrivato a un risto-bar, che offriva anche la possibilità di scommettere sulle corse dei cani. Dopo il mio meritato piatto di calamari fritti, stavo consultando la Lonely Planet, quando si avvicina un signore dagli addominali particolarmente rilassati, sorpreso dal vedere un turista in quel bar. Ho passato un po’ di tempo con lui e i suoi compagni di bevute, scroccando un’altra birra, ricevendo consigli su posti da visitare in Australia e ricambiando gli stessi, suggerendo ristoranti in Trastevere, per il mio nuovo amico che stava per partire per Roma. Gli australiani, almeno quelli che ho avuto modo di conoscere finora, sono molto aperti e curiosi nei confronti dello straniero, specialmente se viene da lontano. Ho avuto il mio da fare per spiegare che volevo raggiungere a piedi Watson Bay e non volevo un passaggio in macchina. Ancora più sofferto è stato il rifiuto della terza birra.
Più tardi, nel pomeriggio, ho avuto ancora modo di testare la gentilezza australiana quando un anziano signore, vedendomi in difficoltà nel trovare le indicazioni stradali, dopo avermi aiutato mi ha anch’egli proposto un passaggio in macchina. Al mio rifiuto mi ha detto che sarei dovuto ripassare per una tazza di té. Impagabile.
Il mio arrivo a Watson Bay è stato reso più dolce da una coppia just married, intenta a fare le foto di rito, e da Eolo, che aveva finalmente iniziato a spazzare via le nubi e regalarmi il mio meritato sguardo sulla baia, sotto l’azzurro di un cielo con l’ozono bucherellato.
Sydney ti risveglia delle voglie che non pensavi di avere. Una su tutte: ti viene voglia di andare in barca a vela. Ho sempre preferito la terra all'acqua, ma quando vedi tutte queste barche delle più svariate dimensioni cavalcare le tranquille onde della baia, la tentazione di rivdere le proprie posizioni è forte.
Un'altra cosa che mi piacerebbe fare qui, e non ridete, è fare un corso di bird-watching, nell'accezione più ornitologica del termine. Le nostre città sono piene di piccioni e passeri. Qui ci sono uccelli di tutti i colori, forme, dimensioni e suoni. Il più frequente e ridicolo è questo, che con la sua camminata claudicante fa compagnia a quelli che fanno picnic nei parchi. Ma questi ibis non sono gli unici pennuti che si trovano facilmente, perchè si vedono anche questi, questi, questi e questi.
Alla fine sono arrivato a the Gap, la parte della penisola di Vaucluse che si affaccia sull'oceano e dove si registrano la maggior parte dei suicidi di Sydney. Tutti quelli a cui chiedevo informazioni stradali per The Gap mi rispondevano: "Don't jump off!".
Non ero lì per quello. E poi Eolo aveva appena finito il suo lavoro.
Ah, tornando a Kings Cross ho anche trovato loro. Ancora un poco e non li seguivo.
La prossima volta vi racconterò del Mardi Gras e della mia scoperta della città, ora sono stanco di scrivere.
Un abbraccio a tutti, soprattutto a chi mi ha scritto in questi giorni manifestandomi il loro affetto.
Chi non viene sul blog è un Kookaburra!
PS. per gli amanti delle scommesse, la persona che nel post precedente aveva richiesto un visto, l'ha ottenuto. L'ultima volta che persone dall'Extremadura sono sbarcate su un altro continente, le culture millenarie degli Aztechi e dei Maya sono scomparse nel giro di poco tempo. Spero che agli aborigeni australiani le cose vadano meglio.
giovedì 25 febbraio 2010
L'Australia, terra di possibilità o "Quando trovare un lavoro è più semplice di trovare casa e altre storie"
Vabbè, forse ho esagerato. Non ho trovato propriamente un lavoro. Ma partiamo dall'inizio.
Nella mia disperata ricerca di un tetto, ho utilizzato per lo più un sito che si chiama Gumtree, cugino oceanico del nostro Kiijii (o come diavolo si scrive). Come sicuramente alcuni di voi sapranno, questi siti sono un gran calderone di annunci, che vanno dalla vendita di automobili, agli incontri di persone, passando probabilmente per la vendita illegale di organi. L'altro giorno, cazzeggiando su questo sito, ho notato un'inserzione di una ragazza spagnola che si rendeva disponibile per dare lezioni della lingua di Cervantes. Detto fatto. Ho copiaincollato il suo annuncio, sostituito Spanish con Italian, messo un bel tricolore sventolante come immagine, et voilà: eccomi entrare nel magico mondo delle lezioni di lingua italiana in terra straniera.
Non riponevo molta fiducia nel mio annuncio creato nella bellezza di due minuti esatti. Fino a quando, ieri sera, il giovane John Shaw non mi chiama per un aiuto per il suo esame di italiano. Cazzo figata! non avevo ancora trovato una casa, ma avevo trovato una piccola fonte di reddito!
Stasera prima lezione. Il signor Shaw mi ha caricato sulla sua Audi nera (immagine non proprio idilliaca, lo ammetto), mi ha portato a casa e mi ha lasciato un paio d'ore con James. Il tutto per 55 dollari, tre spiedini succulenti, due bicchieri di vino rosso da una bottiglia con tappo a vite e un invito per passare il weekend nella casa di campagna della famiglia Shaw. Non male per una discussione in italiano sulla vacanza preferita o la casa ideale.
Ad ogni modo, ho anche trovato casa. Old South Head Road 91, Bondi Junction. La densità di popolazione della casa è pari di quella di un condominio giapponese (ci sono 25 persone! no, dico: 25!), però è la meno peggio di quelle che ho visto. Ai posteri l'ardua sentenza.
Infine, sembra che la persona nella foto qui in basso abbia fatto richiesta per un visto turistico per il periodo delle vacanze di Pasqua. La domanda è: se voi foste le autorità doganali australiane preposte al rilascio dei visti, glielo concedereste?
Sensazioni o "Kings Cross e altre storie"
Gli aborigeni ubriachi che chiedono l’elemosina senza troppa convinzione. I negozi per adulti. L’ingannevole Park Street, che ti permette di arrivare se vieni dal centro, seguendo il cartellone della Coca Cola come fosse una stella cometa. Ingannevole perchè il cartellone sembra vicino, ma la strada da fare è ancora lunga e tutta in salita. Il cartellone luminoso della Coca Cola, un banale muro pubblicitario divenuto il simbolo di un quartiere prima e di una città poi. I transessuali che ti fanno l’occhiolino. I buttafuori degli strip club che ti cercano di convincere a dare un’occhiata alla mercanzia esposta. Le signore di mezza età alla ricerca di una one-night-stand. Le notti insonni per via del chiasso proveniente dalla strada nelle mie notti al Globe Hostel. Lo stesso Globe Hostel, che non vincerebbe mai un premio per la sua pulizia. Le mie poco socievoli coinquline francesi e il loro viaggiare l’Australia con il trolley-packing. Gli insetti nella cucina. Il lavandino della stanza incapace di trattenere l’acqua. La totale assenza di privacy. Il mancare l’assenza di privacy quando ci si ritrova in camera soli. Il rotolone di sushi in sconto in metropolitana con la soia che non è mai abbastanza. I volti che si vedono nelle vie. Volti tumefatti, volti spenti, volti accesi, volti artificialmente accesi, volti stanchi, volti curiosi, volti ingannevoli, volti sconsolati, volti arroganti. I francesi, che sono ovunque. Il suo unico McDonald, con una connessione così lenta che ti costringe a rifugiarti in un internet café. Il suo essere anacronistico come una canzone di Bon Jovi degli anni 80, quando aveva ancora i capelli cotonati. Il rischiare di sentire per davvero una canzone di Bon Jovi degli anni 80.
Forse non ci sono ancora entrato totalmente dentro, ma di sicuro mi mancherà Kings Cross quando non abiterò più qui.
Anche perchè, "many Sydney 'identities' who chose artistic and creative lives above money making have lived on this strip of Darlinghurst Road".
Chi non viene sul blog diventera' un aborigeno ubriaco!
domenica 21 febbraio 2010
La ricerca della casa o "Sconfitto da un banker di Citigroup, Quasimodo e altre storie"
I posteri ricorderanno che, prima di centinaia di serate australiane dove andò a letto con il sole già alto, il vostro eroe trascorse un tranquillo primo sabato sera australiano, con sprofondamento nel materasso alle 23.30. Ma non temete, ci sarà tempo di rifarsi.
Nonostante la mia breve uscita, ho potuto constatare di come le teenager australiane abbiano scelto, quasi all’umanità, la Julia Roberts di Pretty Woman come icona di stile, prima però del suo incontro con Richard Gere.
Nella foto qui sotto ho provato a mostrare la decadenza dei costumi occidentali, in un normale sabato sera di Kings Cross. La foto è la migliore di quelle che sono riuscito a fare, perchè nonostante il baricentro basso, la protagonista della foto zampettava abbastanza velocemente.
Spero sia di vostro gradimento.
Nonostante la mia breve uscita, ho potuto constatare di come le teenager australiane abbiano scelto, quasi all’umanità, la Julia Roberts di Pretty Woman come icona di stile, prima però del suo incontro con Richard Gere.
Nella foto qui sotto ho provato a mostrare la decadenza dei costumi occidentali, in un normale sabato sera di Kings Cross. La foto è la migliore di quelle che sono riuscito a fare, perchè nonostante il baricentro basso, la protagonista della foto zampettava abbastanza velocemente.
Spero sia di vostro gradimento.
La zona del mio nuovo ostello è una delle più movimentate di Sydney da quanto mi pare di capire. La Lonely Planet lo definisce grunge. Finora non ho ancora visto niente che mi ricordi Kurt Cobain, ma di sicuro Kings Cross di sera fornisce una buona collezione di diversi tipi sociali. Oltre alle mignotte e ai papponi dei diversi strip club della via, vi sono infatti teenager ubriachi, vecchi, i cui polmoni hanno visto giorni migliori, fare l’elemosina, immancabili backpacker con sandali e zainone, tamarri che sgommano con la macchina truccata, hippy di tutte le età che suonano la chitarra sul lato della strada, cinquantenni in uscita per mangiare un gelato e presumibilmente qualche pusher.
Il nuovo ostello è anche un po’ più zozzo di quello precedente (mi sono trasferito ieri) ma i coinquilini sono simpatici e ti fanno venire voglia di partire con lo zaino in spalla.
Ma arriviamo al discorso casa.
Prima di tutto, non l’ho ancora trovata.
Le case che ho visto finora sono di due tipi: quelle dove più che la Lamuchina, per disinfettare servirebbe la fiamma ossidrica; e quelle che per affittare devi superare lo scoglio delle interviste. Perchè qui dovete sapere che quando più persone sono interessate alla stessa stanza, il proprietario li raduna in visita tutti alla stessa ora per vedere chi potrebbe essere il più adatto.
Ieri, per esempio, sono andato a vedere una stanza in una casa con tre californiane (so che questo spingerebbe molti di voi a venire a trovarmi, ma vi anticipo subito che non ce l’ho fatta!). Tutti gli interessati, prima di poter vedere la casa, venivano bersagliati da una serie di domande per vedere quale candidato rispondesse nel miglior modo alle esigenze delle inquiline. Io, nonostante abbia subito decantato le mie doti nella nobile arte dei fornelli e del ferro da stiro (!!!), sono stato sconfitto da un banker di Citi, che prometteva preziosi consigli per investimenti sicuri. La storia quindi si ripete: in questo mondo ingiusto il saper maneggiare swap e futures conta di più che saper preparare un delizioso piatto di spaghetti all’amatriciana.
Delle case della prima categoria (quelle della fiamma ossidrica per intendersi), una ha superato ogni livello immaginabile. La persona con cui avevo parlato al telefono mi aveva detto che non sarebbe potuto essere in casa, ma di non preoccuparmi, in quanto se avessi bussato alla porta, qualcuno mi sarebbe venuto ad aprire. Arrivo a destinazione e già una cosa mi sorprende: non ho bisogno di bussare alcuna porta in quanto questa è spalancata. Metto il naso dentro, provo a chiamare qualcuno, suono il campanello, ma niente. Al che, spazientito, stavo già pensando di andarmene quando da dietro spunta uno strano figuro, con la camminata che ricordava il gobbo di Notre Dame, solo che decisamente più brutto ed inquietante del Quasimodo della Disney. Quasy (nome di fantasia) mi invita quindi a seguirlo sul retro, perchè l’entrata è lì. Il vostro eroe, dribblando cani, mosche ed altre amenità come il Ronaldo dei tempi d’oro, riesce finalmente a farsi largo ed entrare nella “casa” (il virgolettato è per indicare che la definizione di “casa” non è certo la più appropriata). Avevo già deciso che non sarei mai andato a vivere lì, ma, dopo tutta la strada che avevo fatto, andarmene senza vedere la ragione del mio peregrinare non rappresentava una possibilità. Si scopre quindi che Quasy era un pittore e aveva adibito il piano terra della “casa” a atelier. Ma la parte più interessante, dal punto di vista della fauna batterica, era probabilmente la stanza che avrei dovuto affittare. So che può sembrarvi esagerato, ma quella stanza, come luce, sporcizia e anche un po’ per l’abitante, mi ricordava tantissimo quella di Seven, quando Brad Pitt e Morgan Freeman trovano uno che era rimasto legato al letto e torturato per mesi. Do you remember? Togliete le sevizie e la finta pioggia hollywoodiana alla finestra, e ci siete quasi. In questa stanza completamente buia e dove non si riusciva a vedere il pavimento per via di tutto ciò che vi era sopra, all’improvviso spunta una tipo collassato non si capisce dove da dietro una tendina che mi saluta con un grugno. “Well, thank you man, I’ll call you back!”
Qui sotto vi metto la foto dell’entrata della casa, ma vi garantisco che non è niente rispetto a quanto visto in seguito.
Un’altra casa, diciamo pittoresca, era con una hippy di mezza età, con dei parenti di Lucca, con la stanza che puzzava di cibo di gatto. Vabbè.
Oggi pomeriggio ho visto una casa che potrebbe andare bene, a metà tra l’università e le spiagge, e dove vivono due trentenni. Mi faranno sapere domani, finger crossed.
Nel caso non andasse nemmeno questa, lunedì andrò in agenzia e mi affiderò alle mani di un broker immobiliare dall’alito al mentolo.
Stare in ostello nel frattempo non è così male. L’unico fastidio è non poter aprire le valigie e sistemare le cose, ma per il resto è anche divertente. Le persone che sono qui hanno tutte una storia da raccontare. L’ultimo con cui ho chiacchierato un po’ è un ingegnere argentino che sta viaggiando da un anno e mezzo con fidanzata al seguito, tra Nuova Zelanda, Asia e Australia. Ora partiva per andare a Melbourne a lavorare presso un giostraio itinerante, ma tornerà a Sydney con il suo Luna Park verso aprile. Ci siamo scambiati le mail, non si sa mai. Il mondo è piccolo. E non avevo ancora nessun aggancio a Buenos Aires.
Vi lascio con la solita conclusione per farvi un po’ rosicare. Ho fatto il primo bagno nel Pacifico ieri a Bondi Beach. Più che il bagno, ho condotto una battaglia impari contro le poco pacifiche onde dell’oceano. Capisci anche perchè hanno inventato il surf: è l’unica maniera con la quale l’uomo può tentare di sconfiggere la forza del mare senza ricorrere a grandi barche (è vero anche che, almeno tra i principianti che ho visto oggi, il mare ha spesso la meglio).
Sono stato solo poche ore a Bondi, ma penso di aver capito la ragione del suo successo mondiale. La spiaggia è indubbiamente molto bella, ma non è certo la migliore al mondo. Persino i surfisti più seri tendono a snobbarla un po’, lasciando le sue onde ad essere cavalcate da europei alle prime armi. Ma c’è una cosa che ti colpisce immediatamente. Praticamente nessuno tra le centinaia di bagnanti ha più di 30 anni. É una sterminata spiaggia con sabbia finissima piena di giovani di tutto il mondo. Awesome!
Tenete le dita incrociate per la mia ricerca.
Chi non viene sul blog andrà a vivere con Quasy!
PS. Alla minimaratona di Verona di domani tifate tutti il corridore col pettorale 4380!
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